La trasmissione di coronavirus nell’aria: fenomeno “airborne”

virus nell'aria

Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili, come la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni meteorologiche

Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, sottolinea Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac

Uno studio multidisciplinare, condotto a maggio 2020, analizza le concentrazioni in atmosfera di SARS-CoV-2 a Venezia e Lecce, evidenziandone le implicazioni per la trasmissione airborne.

La ricerca, pubblicata su Environment International, è stata condotta da Cnr-Isac, Università Ca’ Foscari Venezia, Cnr-Isp e Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata

La rapida diffusione del Covid-19, e il suo generare focolai di differente intensità in diverse regioni dello stesso Paese, hanno sollevato importanti interrogativi sui meccanismi di trasmissione del virus e sul ruolo della trasmissione in aria (detta airborne) attraverso le goccioline respiratorie.

Mentre la trasmissione del SARS-CoV-2 per contatto (diretta o indiretta tramite superfici di contatto) è ampiamente accettata, la trasmissione airborne è invece ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.


Grazie ad uno studio multidisciplinare, condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Lecce, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dall’Istituto di scienze polari del Cnr (Cnr-Isp) di Venezia e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (Izspb), sono state analizzate le concentrazioni e le distribuzioni dimensionali delle particelle virali nell’aria esterna raccolte simultaneamente, durante la pandemia, in Veneto e Puglia nel mese di maggio 2020, tra la fine del lockdown e la ripresa delle attività.

La ricerca, avviata grazie al progetto “AIR-CoV (Evaluation of the concentration and size distribution of SARS-CoV-2 in air in outdoor environments) e pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, ha evidenziato una bassa probabilità di trasmissione airbone del contagio all’esterno se non nelle zone di assembramento.
“Il nostro studio ha preso in esame due città a diverso impatto di diffusione: Venezia-Mestre e Lecce, collocate in due parti del Paese (nord e sud Italia) caratterizzate da tassi di diffusione del COVID-19 molto diversi nella prima fase della pandemia”, spiega Daniele Contini, ricercatore Cnr-Isac.

Durante la prima fase della pandemia, la diffusione del SARS-CoV-2 è stata eccezionalmente grave nella regione Veneto, con un massimo di casi attivi (cioè individui infetti) di 10.800 al 16 aprile 2020 (circa il 10% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,9 milioni. Invece, la regione Puglia ha raggiunto il massimo dei casi attivi il 3 maggio 2020 con 2.955 casi (3% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,0 milioni di persone.

All’inizio del periodo di misura (13 maggio 2020), le regioni Veneto e Puglia erano interessate, rispettivamente, da 5.020 e 2.322 casi attivi.

“Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili quali la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni meteorologiche. Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, sottolinea Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac.

La potenziale esistenza del virus SARS-CoV-2 nei campioni di aerosol analizzati è stata determinata raccogliendo il particolato atmosferico di diverse dimensioni dalla nano-particelle al PM10 e determinando la presenza del materiale genetico (RNA) del SARS-CoV-2 con tecniche di diagnostica di laboratorio avanzate.

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