Dal 1974 lo storico brand Valcom (parte del gruppo Terranova insieme agli altri storici marchi Spriano e Mecrela) progetta, sviluppa e costruisce strumentazione per la misura e il controllo dei processi industriali
Trasmettitori elettronici di pressione, livello, vuoto, Δp e convertitori di segnale che coprono campi di misura da 3 mbar a 1000 bar. Gli strumenti possono essere realizzati completi di separatori di fluido in AISI316, leghe speciali e dorati per applicazioni su fluidi corrosivi.
Per
il settore chimico Valcom® offre una gamma completa di trasmettitori uscita
4-20 mA con protocollo di comunicazione Hart® e con elettronica integrata o
remota. Specializzata da anni nelle costruzioni “custom”, propone i trasmettitori
di pressione differenziale e relativa Smart Hart della serie T7 con custodia in
AISI316 e parti bagnate, o solo membrane, con materiali speciali quali
Hastelloy C, Titanio, Tantalio, Monel, Duplex, Super Duplex, Teflon e altri a
richiesta.
Per
la misura di livello Valcom presenta la serie KRG a tecnologia radar. KRG
utilizza un impulso di microonde* a 26 GHz verso la superficie del liquido che
riflette il segnale al trasmettitore. Il tempo di volo, proporzionale alla
distanza tra punto di emissione e superficie del liquido, è elaborato
dall’elettronica dello strumento che genera un segnale proporzionale in uscita.
Nessuna parte in movimento, nessun contatto con il liquido, perciò offre alta
affidabilità e lunga durata. Applicazioni: misura di livello in serbatoi
contenenti anche fluidi aggressivi, bacini naturali/artificiali; misura di
portata in canali aperti.
La
produzione, interamente in Italia, garantisce tempi di consegna rapidi e
affidabili sia per le costruzioni standard che per quelle speciali.
L’Istat, Istituto italiano di statistica certifica che le imprese che puntano su innovazione digitale e tecnologie, hanno più capacità di reazione rispetto alle altre, una marcia e un vantaggio competitivo in più
Adesso accelerare su produttività, investimenti, ricerca e innovazione sono le principali direttrici per la ripresa
Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha illustrato alla Camera dei Deputati il Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese: 270 pagine fitte di percentuali e numeri, che descrivono il quadro economico, sociale e produttivo del Paese, e anche il suo livello di evoluzione tecnologica e innovazione digitale.
Il primo dato rilevante è che solo il 4% delle imprese
“digitalmente mature ha dovuto affrontare un ridimensionamento delle attività,
contro quote più che doppie di imprese nelle altre categorie”.
In generale, le imprese con maggiori capacità tecnologiche intendono
accelerare (nel 20% dei casi) – nonostante la crisi – i processi interni di
digitalizzazione, dematerializzazione della documentazione e automazione dei
processi aziendali; puntano a un modello organizzativo 4.0, fortemente
digitalizzato; sono attive nella ricerca di collaborazioni e partnership
esterne, nel segno della crescita.
Due strategie emergono come particolarmente rilevanti per le imprese
nell’immediato futuro: “una ristrutturazione, in termini di riorganizzazione
dei processi e degli spazi di lavoro, o commerciali, spesso conseguenza diretta
dell’emergenza sanitaria”, rimarca la ventinovesima edizione del Rapporto
annuale dell’Istat, insieme a “un ulteriore sforzo di innovazione, indirizzato
alla produzione di nuovi beni, all’offerta di nuovi servizi o l’adozione di
nuovi processi produttivi”. Insomma, ancora una volta è l’innovazione – di
fabbrica, prodotto, processo – il motore da cavalcare e il treno su cui salire per
trovare slancio e lasciarsi alle spalle una situazione di crisi.
Tra i
principali elementi di forza, per
rivolgersi con successo al futuro, ci devono essere “produttività,
investimenti, ricerca”, sottolinea Giampaolo Neto,
direttore centrale dell’Istat, sottolineando che le imprese più dinamiche e
reattive sono quelle che nell’ultimo anno e mezzo, ma anche prima, hanno
puntato su “una rapida evoluzione dei processi di digitalizzazione, automazione
e diffusione delle attività commerciali online”, vale a dire l’e-commerce.
Il ruolo dell’e-commerce
Proprio l’e-commerce è un elemento che ha avuto una spinta straordinaria per effetto dell’emergenza pandemica.In Italia l’e-commerce, prima della pandemia, era adottato dal 9% delle imprese con almeno 3 addetti, ma questa quota sfiorava il 20% nel caso delle grandi. “L’incremento favorito dalla crisi – anche in questo caso, come per la comunicazione aziendale, più orientato a rendere operativi strumenti esistenti che ad acquisirne di nuovi – è stato nel complesso pari al 43%, omogeneo in tutte le classi di attività”, rileva Andrea De Panizza, uno dei curatori del Rapporto Istat 2021.
Che
spiega: “anche considerando le imprese che programmano di attivare siti web di
e-commerce nel corso di quest’anno, si conferma il ruolo della componente
dimensionale: l’intenzione è espressa da quasi il 30% delle grandi imprese con
un sito di e-commerce, contro il 24% delle piccole e medie imprese, e il 16%
delle microimprese”.
La digitalizzazione “componente strategica per la competitività e la sostenibilità”
L’analisi di scenario dell’Istat rimarca: le tecnologie digitali “rappresentano
una componente strategica per la competitività dei Paesi e per l’evoluzione dei
sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità”. E fa notare: “nel 2020 le
professioni ICT incidono per il 4,3% sull’occupazione totale nell’Ue27 e solo
per il 3,6% in Italia. Nelle imprese con più di 10 addetti più della metà del
personale ormai usa quotidianamente computer connessi a Internet, il 56% nell’Ue27
e il 53% in Italia”.
Per portare avanti la propria evoluzione
tecnologica, l’Italia ha destinato a progetti di digitalizzazione il
27% dei 235 miliardi di risorse comprese nel proprio Programma Nazionale di
Ripresa e Resilienza (222 miliardi) e nei fondi React-Eu (13 miliardi).
L’exploit dei servizi cloud in soli 2 anni
In soli 2 anni, tra il 2018 e il 2020, la quota di imprese italiane che utilizzano servizi cloud è passata dal 23 al 60%, e dall’11 al 32% per quanto riguarda i servizi più evoluti, grazie anche agli incentivi fiscali contenuti nel piano Industria 4.0. Le politiche, e gli obblighi normativi, hanno favorito l’uso delle tecnologie digitali anche nell’automazione degli scambi di documenti attraverso l’emissione di fatture elettroniche: per questo aspetto, nel 2019 le imprese italiane risultavano in vetta alla graduatoria europea (95%).
Il sistema produttivo italiano è invece ancora in
ritardo nella diffusione del commercio elettronico e nell’uso di tecniche
di analisi di Big data; queste ultime nel 2019 sono state utilizzate dal 9% delle
imprese italiane e spagnole con almeno 10 addetti, contro il 18% di quelle
tedesche e il 22% di quelle francesi.
Il rimbalzo della manifattura italiana
Tra le imprese manifatturiere con almeno 20 addetti
(che nel 2018 spiegavano più dell’80% del fatturato della manifattura e oltre
il 90% dell’export), una su due ha subito nel 2020 riduzioni di fatturato pari
ad almeno il 10%, mentre una su quattro ha perso almeno il 25%. Solo un quarto
delle imprese è riuscito a tenere variazioni positive o nulle, grazie alla
capacità di tenuta sui mercati esteri.
Nel corso del 2020 il fatturato della manifattura italiana ha
poi anche “evidenziato segnali di ripresa che si sono irrobustiti nel primo
trimestre 2021”, certifica l’Istituto di statistica: “tra gennaio e marzo i
ricavi complessivi sono cresciuti, su base tendenziale, del 12,6%, a seguito di
un deciso aumento della domanda interna (+16%) e di una dinamica più contenuta,
ma comunque rilevante, di quella estera (+7%)”.
L’aumento dei ricavi ha interessato 15 settori manifatturieri su 23, “con variazioni
tendenziali molto eterogenee: alla brillante performance di mobili (+30%),
metallurgia (+29%), apparecchiature elettriche (+27%) e dei mezzi di trasporto
(+25%), si contrappone quella più contenuta, o stagnante, della filiera
tessile-abbigliamento-pelli (rispettivamente +5%, +0,5% e -1,6%), che nel primo
trimestre 2020 aveva subito cadute di fatturato molto forti”. Solo in 9 settori –
che incidono per oltre il 40% sull’indice totale – si è (già) tornati ai
livelli pre-crisi: legno-carta-stampa, chimica, gomma e plastica, prodotti della
lavorazione dei minerali non metalliferi, metallurgia, prodotti in metallo,
apparecchiature elettriche, autoveicoli.
Numeri e Dinamiche dell’Economia
Il Pil italiano, dopo la caduta del 2020 (-8,9%) dovuta essenzialmente al
crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021. Per
l’area euro la Commissione europea prevede che il pieno recupero
dell’economia si distribuisca nel biennio 2021-22, con una
crescita media del Pil pari, rispettivamente, a 4,3% e 4,4% nei due anni.
Per rendere possibili le misure di contrasto
all’emergenza sono stati sospesi i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita e
il deficit pubblico è salito in Italia al 9,5% del Pil (secondo i vincoli
precedenti non doveva superare il 3%).
Nel primo trimestre 2021, l’economia italiana ha
segnato un lievissimo recupero congiunturale (+0,1% il Pil), un risultato
migliore di quello registrato dalle altre grandi economie europee: si
registrano forti miglioramenti nella manifattura, nelle
costruzioni e in alcuni comparti del terziario e anche le prospettive di
brevissimo periodo sono decisamente positive, in base ai risultati
dell’indagine sui climi di fiducia di imprese e consumatori.
Sul
fronte dell’inflazione, nel 2020 la dinamica dei prezzi è
stata compressa dal crollo della domanda e delle quotazioni delle materie
prime: il tasso di inflazione è risultato in media d’anno quasi nullo (-0,1% in
termini di indice armonizzato europeo). Nei primi mesi di quest’anno la
risalita delle quotazioni del petrolio e il generale recupero dell’attività
hanno cominciato ad alimentare alcune spinte sui prezzi, che nel nostro Paese
restano più moderate che nel resto dell’area euro. A giugno l’inflazione al
consumo in Italia è stata pari a 1,3%, 6 decimi di punto in meno rispetto
all’eurozona.
Prospettive di ripresa
La crisi ha investito anche il mercato del lavoro:
il calo dell’occupazione ha riguardato all’inizio principalmente i dipendenti a
termine e gli indipendenti, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato. A maggio
2021 gli occupati risultano in diminuzione di 735 mila unità rispetto a prima
dell’emergenza.
Le difficoltà causate dalla crisi sanitaria hanno pesato anche
sull’attività negoziale dei contratti di lavoro:
nel corso del 2020 sono stati rinnovati solo 8 contratti collettivi nazionali a
fronte dei 49 scaduti (che corrispondono all’80% del monte retributivo totale).
Ne è risultata una crescita delle retribuzioni contrattuali orarie dello 0,6%,
in rallentamento rispetto all’anno precedente.
Crollo e ripresa della produzione industriale
(rispetto al 2015)
La crisi “ha avuto anche un forte impatto sulla normale gestione operativa delle imprese, sulla regolarità dei
flussi di cassa, sulla disponibilità di liquidità e, di conseguenza, sulle
modalità di finanziamento sul mercato del credito”, rileva il rapporto Istat:
“con le misure per sostenere la gestione finanziaria e la liquidità delle
imprese sono cresciuti molto i prestiti bancari garantiti a scapito delle altre
modalità, come autofinanziamento, linee di credito ed emissioni azionarie”.
Ma ora il peggio sembra passato, anche se è ancora presto per tirare
conclusioni definitive. Si vede comunque la luce in fondo al tunnel: le prospettive di brevissimo periodo sono decisamente positive,
in particolare, gli indici del clima di fiducia delle
imprese, già in risalita nei primi mesi dell’anno, hanno registrato
a maggio e ancora di più a giugno un miglioramento molto veloce, salendo a
livelli particolarmente alti, soprattutto per le costruzioni e l’industria. Le
più recenti previsioni Istat stimano per il 2021 una robusta ripresa
dell’attività, dei consumi e degli investimenti, spinti anche dall’avvio
del PNRR: la crescita del Pil dovrebbe essere del 4,7% e proseguire, con un ritmo
di poco inferiore, l’anno prossimo.
Secondo i dati di Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica – la differenziata degli imballaggi in plastica è cresciuta anche nel 2020, pieno esempio di economia circolare
A fronte di 1.914.000 tonnellate di imballaggi in plastica immesse sul mercato (di pertinenza Corepla) nel 2020, il sistema in totale è riuscito a recuperarne 1.820.270, che corrisponde al 95%; “un dato che porta l’Italia sul podio dei paesi europei più virtuosi” nell’economia circolare.
Lo scorso anno sono state riciclate 655.393 tonnellate di imballaggi in plastica
Alle cifre della gestione del Consorzio, bisogna aggiungere gli imballaggi
in plastica riciclati da operatori industriali indipendenti provenienti dalle
attività commerciali e industriali pari a 249.500 tonnellate, per un riciclo
complessivo di oltre 900mila tonnellate.
Si tratta – viene spiegato – di un anno in cui “i risultati sono più
omogenei tra le regioni”. E anche di “un nuovo record in termini di quantità
trattata”, che fa registrare all’Italia “una media di 23,7 chilogrammi
pro-capite all’anno”.
A guidare la classifica Valle d’Aosta, Umbria e Sardegna, con oltre 32 kg
per abitante. In evidenza il fatto che i risultati della raccolta delle singole
regioni si stanno, tra l’altro, sempre più avvicinando al dato medio nazionale,
“superando gli enormi divari che fino a tre anni fa caratterizzavano la
situazione italiana”.
Il servizio di raccolta e riciclo è “ormai capillare in tutto il Paese:
sono 7.436 i Comuni serviti (94%) con il coinvolgimento del 97% dei cittadini.
Il valore economico direttamente distribuito dal Consorzio ammonta
complessivamente a 771 milioni. Nel 2020 il corrispettivo riconosciuto ai
Comuni italiani o ai loro operatori delegati ha raggiunto 391 milioni. Quasi
173 milioni sono stati destinati agli impianti che selezionano gli imballaggi”.
Sono stati recuperati poi anche quegli imballaggi che ancora non possono
essere riciclati; Corepla ha avviato a recupero energetico 377.807 tonnellate
che sono state utilizzate per produrre energia al posto di combustibili fossili
(per il 75% a cementifici, il 43% in Italia e il 32% all’estero, e per il
restante 25% a termovalorizzazione).
Un impatto del Covid si registra anche qui. La riduzione dei consumi di
materie plastiche nel 2020 è stata infatti “nel complesso relativamente
contenuta” per via della “consistente crescita del settore medicale e di quello
della disinfezione e detergenza”, e del “deciso rilancio dell’alimentare
confezionato”.
Nasce la bio-piattaforma
dall’inceneritore di Sesto San Giovanni a Milano
“I risultati di questo bilancio – osserva Giorgio Quagliuolo, presidente di Corepla – dimostrano i passi
avanti che il nostro Paese ha compiuto nell’ambito della organizzazione di un
sistema di raccolta e riciclo degli imballaggi in plastica. Siamo convinti che
negli anni a venire, anche in funzione dei nuovi piani di rilancio e resilienza
e di una politica economica più improntata ai principi della transizione
ecologica, sapremo offrire risposte adeguate agli ambiziosi target”.
Il Ministro della Transizione ecologica
Roberto Cingolani ha incontrato l’inviato per il clima degli Stati Uniti, John
Kerry. Molti i temi sul tavolo delle due delegazioni: i negoziati della Cop26 e
gli eventi italiani, la Youth4climate e la pre-Cop, il G20 clima e energia, il piano internazionale e gli impegni nei contesti
multilaterali, il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano, e le misure
dedicate alla de-carbonizzazione.
“Abbiamo avuto l’onore di avere con noi Kerry – osserva Cingolani – con il
nuovo corso degli Usa per la difesa dell’ambiente. Abbiamo parlato di scenari
visionari, ma anche del presente e degli impegni che ci aspettano nei prossimi
mesi in relazione a G20, Cop26. Abbiamo un’agenda molto fitta e questo credo
fermamente sia l’inizio di una collaborazione poderosa tra l’Italia, l’Europa e
gli Stati Uniti”.
Il confronto – viene spiegato – era stato “fortemente auspicato” da Kerry
che sin dall’inizio del suo mandato ha voluto avere relazioni con i Paesi più
attivi sul fronte dell’azione climatica, a partire dall’Italia. La sua
“missione” si inquadra all’interno di una “campagna che l’inviato speciale sta
portando avanti in tutto il mondo a favore dell’azione climatica”.
Un incontro con Cingolani che per Kerry è “stato molto costruttivo: tutte e
due ci troviamo d’accordo sull’urgenza di muoversi rapidamente da qui fino agli
incontri di Glasgow a novembre, portando i Paesi al tavolo delle trattative per
cercare di fare di più”.
“Quella che stiamo affrontando – rileva Kerry – è una crisi planetaria e
bisogna fare presto. Vogliamo che i cittadini, sia in Italia, che in Europa,
come negli Stati Uniti, comprendano che questa non è una scelta tra prosperità
e un’economia che funziona o meno, ma è un’opportunità enorme; e i ministri,
come quello della Transizione ecologica, hanno il compito di ‘trasportare’ il
Paese verso un futuro nuovo, migliore e più sicuro, con più posti di lavoro”.
E’ in questo modo – dice l’ex vicepresidente Usa – che “possiamo allontanare il
rischio di un disastro climatico. Quindi siamo fiduciosi, insieme riusciremo a
portare avanti un’opera di persuasione dei nostri colleghi in tutto il mondo;
ci saranno numerose occasioni a Glasgow per intraprendere un percorso e
mantenere l’innalzamento della temperatura terrestre entro gli 1,5 gradi”.
L’obiettivo comune che ci poniamo è di “mantenere entro 1,5 gradi”
l’aumento medio delle temperature globali. Questo significa che “ogni Stato
dovrà fare la sua parte e continuare a ridurre le emissioni in atmosfera” nel
corso di “questa decade”; infatti – afferma Kerry – “non è abbastanza dire che
lo faranno entro il 2050”.
Sia Kerry che Cingolani credono che serva “una strategia a tutto campo e
non una soluzione singola” per “risolvere questa crisi; è un approccio multiplo
che include diverse risorse come carburanti, fonti energetiche e in particolare
richiede di negoziare con l’industria pesante, una componente molto complicata
ma estremamente importante”.
L’industria chimica deve
affrontare un passaggio generazionale della forza lavoro. Operatori e ingegneri
esperti stanno per andare in pensione, e la necessità di trasferire la propria
esperienza alle nuove generazioni è sempre più urgente
Gli Universal Studios in Giappone hanno aperto di recente il primo
parco a tema Super Nintendo World: ora è possibile entrare nel Regno dei Funghi
e vivere il mondo di Mario in prima persona. Ma questa non è di certo la prima
esperienza di Mario in tre dimensioni. Il primo Mario in 3D risale al lontano
1996. Mario in 3D è ormai cresciuto abbastanza per smettere di giocare, e
trovare forse un lavoro in uno stabilimento chimico.
Ma cosa avrebbe trovato il
nostro eroe nel suo primo giorno di formazione? La sequenza di qualificazione
dell’operatore lo avrebbe stimolato? Nella vita reale, gli operatori odierni
sono cresciuti in ambienti 3D in
cui possono interagire, esplorare, commettere errori e poi riprovare. E si
aspettano un’esperienza simile in un corso di formazione industriale.
L’industria chimica deve affrontare un passaggio
generazionale della forza lavoro. Operatori ed ingegneri esperti stanno per
andare in pensione, e la necessità di trasferire la propria esperienza alle
nuove generazioni è sempre più urgente. Tuttavia, molte aziende chimiche si
affidano a metodi di formazione che non coinvolgono per niente la nuova
generazione.
AVEVA sviluppa software industriali che ispirano le persone a creare un futuro sostenibile. Nel mondo della formazione degli operatori, ciò
significa incoraggiare le aziende del settore industria chimica a utilizzare
una modalità di apprendimento coinvolgente ed esperienziale.
AVEVA™ XR for Training sfrutta l’investimento del Digital Twin di
un’azienda, per immergere i tirocinanti in un ambiente 3D coinvolgente, che
riflette lo stabilimento reale in tutto e per tutto. Con una connessione
diretta a un Operator Training Simulator AVEVA ™, l’ambiente di formazione può
persino imitare il comportamento dinamico del processo di un impianto chimico.
E poiché operare in sicurezza non è un gioco, AVEVA™
Unified Learning fornisce un servizio unico ed integrato per
accompagnare gli operatori attraverso l’intero ciclo di apprendimento – Learn, Practice, Assess, and Reinforce –
monitorando l’impatto sull’efficienza
operativa.
Proprio come il mondo 3D di
Mario, molte di queste tecnologie esistono da un po’ di tempo. L’elemento
innovativo è AVEVA ™ Connect, ossia la piattaforma cloud. Il software AVEVA nel
cloud favorisce la resilienza aziendale per i nostri clienti; consentendo loro
di ridurre i costi e scalare processi facilmente, rispondendo a condizioni
economiche dinamiche e garantendo una crescita sostenibile.
James si è laureato alla Carnegie Mellon University
in Mechanical Engineering and Engineering and Public Policy, e ha
successivamente conseguito un MBA presso la New York University. Dopo aver ricoperto diversi ruoli in aziende tecniche, lavora ora ad
AVEVA come Portfolio Marketing Manager per Operator Training Simulator.
Come monitorare in modo accurato e continuo le
particelle respirabili sospese nell’aria? Negli ambienti industriali sono presenti particelle di carbone,
polvere di silice e polveri da costruzione anche in presenza di carichi
pesanti, polveri di legno, tutte molto dannose per la salute dell’uomo,
ecco perché il monitoraggio polveri in ambiente di lavoro è basilare
Polveri dal
diametro di 10 micron sono inalabili, si depositano lungo
le vie respiratorie, quelle di diametro
2,5 micron sono addirittura respirabili, quindi possono penetrare nei
polmoni fino ad accumularsi nel sangue e raggiungere varie parti del nostro
organismo, è quindi necessario un monitoraggio
polveri efficace e accurato per poter prevenire conseguenze sulla salute umana
assai dannose.
In questo modo oltre a problemi di tipo respiratorio
possono verificarsi problemi anche in altri tessuti del corpo umano.
Oltre alle problematiche più urgenti legate alla
salute e alla sicurezza dei lavoratori,
si aggiungono i danni che l’accumulo di
polveri può causare al funzionamento delle
apparecchiature e delle macchine presenti in ambienti industriali,
provocando surriscaldamento, attriti, intasamento, depositi.
I campionamenti
manuali sporadici non bastano.
La tecnologia oggi ci consente di misurare la quantità di polveri presenti in un ambiente e dare immediata segnalazione qualora tale quantità superi quella consentita. Monitoraggio polveri in ambienti di lavoro.
AIR-XDè una
centralina compatta di nuova generazione che consente di ottenere informazioni
affidabili, continuative ed in tempo reale relative alla concentrazione totale
(TSP) delle polveri sottili nell’ambiente ed anche alla loro classificazione
dimensionale (PM).
AIR-XD è un contatore ottico di
particelle ad elevate prestazioni basato sulla tecnica rifrattometrica: è in grado di garantire un’accuratezza del
+/- 5%, raggiungibile solo in laboratorio, ma soprattutto è un sistema autonomo
con un’esigenza minima di manutenzione, dove ad esempio sono stati eliminati
componenti quali filtri e pompa (sostituiti da un sistema di convezione
naturale a portata autoregolata).
Display e tastiera a
bordo ne semplificano la programmazione; il sistema
funzionalmente autonomo fornisce la visualizzazione locale della concentrazione
e della tipologia delle polveri con uscite analogiche e digitali; inoltre un data-loggermemorizza analisi, eventi e diagnostica scaricabili su PC per
archiviazione o analisi di dettaglio a posteriori.
AIR-XD trova
applicazioni ideali nell’industria dei
metalli, in quella dei minerali e comunque ovunque ci siano polveri sottili
nell’aria ambiente dovute a trasporto, movimentazione o lavorazione.
emissioni, monitoraggio ambienti di lavoro, polverimetro, sicurezza
Dalla relazione del Presidente di Fabbrica intelligente, Luca Manuelli, emergono le direttrici di sviluppo dell’associazione che riunisce tutti i portatori di interesse della manifattura per una resilienza industriale
Nei prossimi mesi crescerà il numero di regioni e di attori coinvolti, e verrà sviluppato l’ecosistema dei Lighthouse, recentemente arrivati a 5 grazie ad Hsd Mechatronics forse destinati a diventare 6 con la candidatura di Wartsila. Azioni sulle filiere di fornitori. Un contributo importante alla politica industriale e al Pnnr con la proposta “Produrre un Paese resiliente” e con la prossima roadmap.
Quali evoluzioni stanno attraversando il ClusterNazionale
Fabbrica Intelligente (CFI),l’associazione
che riunisce tutti gli stakeholder
(regioni, università, centri di R&S ed aziende) della manifattura
avanzata, cioé della colonna portante del sistema economico italiano?
Come sarà il CFI del prossimo futuro?
Ne ha parlato il presidente Luca Manuelli nel corso del workshop
annuale Produrre un Paese Resiliente e Sostenibile.
LA MANIFATTURA ITALIANA: UNO
SCENARIO COMPLESSO E INCERTO
Ancora oggi, ha sottolineato Luca Manuelli, permane una situazione di profonda incertezza,
determinata dalla pandemia. Il Covid-19 ha prodotto circa due milioni di morti
a livello mondiale e circa 100mila in Italia. Il Pil globale è calato
quest’anno del 3,5%; e in Italia del 9%. Per il 2021 le previsioni sono in
continuo aggiornamento; allo stato, tuttavia, è prevista una crescita mondiale
del 5%, mentre in Italia con ogni probabilità ci si fermerà al 3-3.5%, al di
sotto degli obiettivi europei del 4,2%.
L’EVOLUZIONE DELLA MISSIONE
DEL CLUSTER: ECOSISTEMA COLLABORATIVO E RESILIENZA INDUSTRIALE
A fronte della pandemia e del suo impatto
sul fabric del Paese, CFI si sta sviluppando lungo due direttrici principali.
Il CFI
sta lavorando per far crescere il proprio ecosistema collaborativo.
Anzitutto, l’allineamento della sua missionedi sviluppare
l’ecosistema collaborativo dell’innovazione del manifatturiero all’attuale
scenario: con la disarticolazione delle filiere e il calo della domanda
sperimentati lo scorso anno, il cluster ha attribuito maggior rilievo
alla resilienza di sistema, e
cioè alla capacità delle imprese manifatturiere di reagire positivamente alle
avversità e di superare eventi traumatici.
Questa esigenza si è tradotta nella
visione sviluppata con una task force di 50 esperti che è stata sintetizzata
nel documento, “Produrre un Paese Resiliente”, una proposta
diretta al decisore politico, che si può essere approfondita qui.
Lo
sviluppo territoriale è una delle priorità del Cluster Fabbrica Intelligente
A proposito di “Produrre un Paese
Resiliente”, questo documento individua tre categorie di interventi:
anzitutto quelli immediati, per favorire l’accelerazione della
digital transformation con l’acquisizione di beni strumentali, software, metodologie, e con l’adeguamento di
soluzioni esistenti e il supporto alla trasformazione sostenibile
dell’industria.
Si parla, ad esempio di tecnologie per il
lavoro a distanza o di robot in grado di garantire un alto livello di
interazione con gli umani per gestire l’emergenza. Poi, quelli di medio termine specifici, e cioè quelli
che, grazie alla ricerca e all’innovazione, possono dar vita a soluzioni
innovative utili anche per supportare la riconfigurazione delle filiere.
Si pensi, ad esempio, alle attività di commissioning e di manutenzione a distanza; e più in
generale, alla collaboration basata sul Cloud. O, ancora, all’internet of
action, che permette ad operatori esperti di agire a distanza e di
riprodurre sensazioni ed azioni in modo interattivo e adattativo, come accade
nella robotica per la medicina. Infine, quelli di medio termine a carattere sistemico,
per dotare il Paese di un sistema di manifattura
di pronto intervento, in grado di produrre subito beni e strumentazioni
utili nell’emergenza in tempi ridotti e
in grandi volumi.
Anche la nuova Roadmap, in via
di completamento entro il primo trimestre del 2021, «sarà integrata da
obiettivi che potranno essere utili anche per la definizione del Recovery Plan».
Questa è il documento strategico di CFI
per definire le necessità della manifattura
italiana in termini di avanzamento
tecnologico e per rendere più competitivo il settore economico più
rilevante del Paese.
L’anno scorso erano stati impegnati sette
gruppi tematici (coordinati dal presidente del comitato tecnico
scientifico Tullio Tolio) formati da tecnici, docenti universitari
e soci del cluster. «Ora una parte del lavoro è confluito in Produrre un
Paese Resiliente – ha affermato Manuelli – visione che potrà essere
ulteriormente sviluppata grazie ai contributi emersi durante il Workshop per
poter essere sottoposta all’attenzione del Governo».
L’ESPANSIONE DELL’ECOSISTEMA
COLLABORATIVO
In secondo luogo, il
consolidamento delle sue principali attività e l’allargamento della sua base
associativa. Nella visione di CFI la resilienza della manifattura è un
fattore organico. Si può acquisire solo in un contesto forte, dove soggetti
diversi collegano le proprie competenze.
«La nuova visione – ha affermato Manuelli –
è portata avanti dall’intero ecosistema» che ruota attorno al Cfi. Ad oggi
il Cluster conta 287 membri, di cui 218 partner industriali, regioni
e diversi tra università, centri di ricerca, e altri.
Produrre un Paese Resiliente
Quanto alle Regioni, sono sette quelle
(Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte e Puglie) che
hanno da tempo formalizzato un Accordo di Programma con il Mur sulle tematiche
della Fabbrica Intelligente propedeutico allo sviluppo dei Cluster
Territoriali. «L’obiettivo – ha afferma Manuelli – è raddoppiare questo numero
in tre anni, coinvolgendo maggiormente il Sud del Paese». In particolare, sono
già stati individuati potenziali candidati dalle Regioni Friuli Venezia
Giulia, Trentino Alto Adige e Umbria, e si stanno
stringendo rapporti con Toscana, Lazio, Campania, Abruzzo e Basilicata.
HSD Mechatronics è recentemente diventata Lighthouse
Plant del CFI
Quanto agli impianti Faro, già nel 2020 ne
è aumentato il novero: dopo i Lighthouse dei grandi gruppi internazionali Ansaldo Energia, Abb, Hitachi Rail,
Tenova-Ori Martin, a rivestire il ruolo di Lighthouse Plant è giuntaHSD
Mechatronics del gruppo Biesse,
che è quotato in Borsa.
Con 80 milioni di fatturato, 340
dipendenti, Hsd è la prima media impresa ad essere insignita di tali status e
missione. Grazie a HSD anche aziende di dimensioni più piccole rispetto a
quelli di prima generazione potranno permettere di dimostrare quali soluzioni
tecnologiche si possano adottare per migliorare la competitività, la resilienza
e la sostenibilità.
Dopo il quinto Lighthouse di HSD,
nel 2021 si dovrebbe aggiungere al novero degli Impianti Faro la fabbrica di
Trieste di Wärtsilä, azienda finlandese leader mondiale nella
fabbricazione di sistemi di propulsione e generazione d’energia per uso marino
e centrali elettriche; e due Big italiani del farmaceutico e dell’aeronautico, Menarini e Leonardo, hanno
avviato il percorso per diventarlo a loro volta.
Altri nuovi importanti attori
dell’ecosistema collaborativo del CFI sono i Pathfinder, partner
tecnologici del cluster in grado di contribuire all’individuazione delle
principali traiettorie di sviluppo dell’innovazione a supporto della
competitività della manifattura italiana. Nel 2020 ne è stato ampliato il
numero: dopo l’accordo con Sap del 2019, si sono aggiunti Deloitte e Cisco. Nel 2021 è entrata a far parte del novero
anche Siemens. Ma, ha affermato Manuelli, ci saranno altre novità
nel corso di quest’anno.
LE FABBRICHE FARO SI APRONO
ALLE FILIERE E ALL’OPEN INNOVATION
Le aziende capo-filiera che hanno avviato
i Lighthouse Plan hanno avviato il processo di coinvolgimento della
propria filiera di fornitori nel processo di trasformazione
digitale. Dopo il successo di AENet 4.0, con il quale Ansaldo Energia ha
coinvolto 100 fornitori strategici italiani con il supporto di 11 DIH di
Confindustria coordinati da quello ligure e del Competence Centre lombardo MADE
e di quello ligure START 4.0, anche ABB ha avviato
un’iniziativa di filiera con il supporto del Digital Innovation Hub Lombardia
che ha realizzato l’assessment di un campione di 17 supplier di Abb operativi in
Lombardia, Veneto e Lazio e costituito da piccole e medie imprese afferenti a
differenti categorie merceologiche.
Per quanto riguarda l’apertura dei Lighthouse all’Open Innovation, dopo il successo della call for innovation Digital X Factory di Ansaldo Energia (160 startup partecipanti, 11 selezionate nel Pitch finale e 6 che lavorano nella Fabbrica Faro), nel 2020 il CFI ha lanciato sulla piattaforma di Open Innovation della Regione Lombardia X Factory con due challenge distinte e collegate agli Impianti Faro di ABB e di ORI – Martin Tenova: la prima focalizzata ad acquisire “proposte di soluzioni” di stampa 3D di sostanze metalliche per incrementare la velocità di esecuzione e superare il problema dei piccoli lotti; la seconda invece relativa alla cybersafety e, in particolare, la sensoristica per la sicurezza dei lavoratori in aree di rischio.
Quando si parla di transizione energetica e di idrogeno verde è bene guardare a Bassano del Grappa (Vicenza), dove si sta costruendo un pezzo di storia dell’idrogeno per uso riscaldamento.
Qui sorge infatti lo stabilimento di Baxi, delegato a livello corporate dal gruppo BDR Thermea (1,8 miliardi di fatturato annuo e 6200 dipendenti) a condurre attività di ricerca e sviluppo proprio sul vettore della transizione energetica.
Baxi punta sulla produzione a impatto zero e sulle
rinnovabili. Lo dimostra l’impianto
fotovoltaico ad alta efficienza di 6.000 metri quadri installato sul tetto
dello stabilimento, capace di generare 992 kW che permettono, a quella che va
considerata una green factory, di
ottenere il 100% dell’energia necessaria per produrre le circa 4.000 caldaie al
giorno.
Una parte di quell’energia è dedicata all’autoproduzione di idrogeno verde,
quello ottenuto dall’acqua tramite
elettrolisi.
Infatti, la società ha attrezzato un locale esterno dedicato ad accogliere le apparecchiature necessarie per il processo di elettrolisi per la trasformazione di energia elettrica in idrogeno. Da qui è nato il progetto presentato da BDR Thermea Group della prima caldaia domestica premiscelata certificata alimentata ad idrogeno, nel 2019- .
Sempre a Bassano del Grappa si testano i prototipi
funzionanti a idrogeno puro e a miscele con gas naturale. Non solo: «da poche
settimane si è affiancato un secondo impianto, che produce sempre idrogeno
verde. Debitamente stoccato nelle batterie di alimentazione, provvede a fornire
il combustibile per le caldaie in test nei nostri laboratori, ma anche a
soddisfare le esigenze di riscaldamento e di produzione di acqua calda dei
nostri uffici», afferma l’Ing. Alberto Favero, direttore generale di Baxi.
Idrogeno per
riscaldamento: è il momento giusto per crederci
Ma quali sono i fattori che hanno portato Baxi a puntare
sull’idrogeno? «Direi diversi e in varie fasi temporali.
Abbiamo interpretato da tempo alcuni trend di mercato internazionale,
decisamente forti in alcuni Paesi. Penso, per esempio, al Regno Unito, dove da
tempo si è cominciato a declinare il concetto di transizione energetica
guardando sì all’elettrico, ma anche al gas miscelato all’idrogeno», spiega lo
stesso Favero. A Leeds hanno avviato sin dal 2017 il progetto H21, finalizzato
a convertire all’uso di idrogeno la rete di riscaldamento cittadina.
Mentre in Italia? «Stiamo raccogliendo un crescente
interesse da varie multiutility, sempre
più convinte sia dall’agenda UE sia dai piani della Germania, che punta decisa
all’idrogeno con un piano che prevede investimenti per circa 50 miliardi per le tecnologie green, circa un quinto
dei quali dedicate all’idrogeno –
sottolinea lo stesso direttore generale Baxi – Inoltre, si sta facendo
sperimentazione anche sul versante dei trasporti».
Il mercato che si apre verso l’idrogeno per
riscaldamento è promettente. «Lo sarà ancor più se, però, in concomitanza, ci
sarà un’apertura in altri settori dove l’impiego dell’idrogeno diventa
un’opzione attraente. Penso, per esempio, al settore dei trasporti, su gomma e
su rotaia. Se si aprirà a un consumo massivo allora si apriranno opportunità di
mercato davvero importanti. L’ideale quindi è che si portino avanti più
progetti pilota in vari ambiti».
Idrogeno per il
riscaldamento: dalla caldaia premiscelata a quella 100% idrogeno
Come specifica il direttore
Ricerca & Sviluppo Antonio Sandro, la società del gruppo
BDR Thermea ha due progetti di cui uno pensato per il breve termine, ovvero
quella della caldaia premiscelata che prevede il blend idrogeno-gas naturale.
In questo caso può essere prevista una miscela anche
fino al 20%. «Il progetto di caldaia al 100% è pensato con un orizzonte più a
lungo termine, ma non così lontano: basandoci su Paesi target dove la
sperimentazione è già avanzata, lavoriamo per un prodotto compatibile con le
attuali tecnologie, ideale sia come installazione ex novo sia soprattutto in
caso di sostituzione dell’esistente.
L’obiettivo è fornire una soluzione che garantisca
efficienza energetica e attenzione alle emissioni».
Il fatto stesso che oggi non vi sia ancora idrogeno,
o comunque non in percentuali significative, non è un problema: la caldaia è
stata pensata per funzionare con gas naturale ma già hydrogen
ready, quindi pronta on demand quando ci saranno le condizioni di
disponibilità d’idrogeno in rete, sia miscelato sia puro.-
Dal punto di vista degli installatori cosa implica
la caldaia premiscelata a idrogeno? «A livello tecnico richiede le stesse
attenzioni di una caldaia tradizionale. È progettata con gli stessi livelli
elevati di sicurezza richiesti oggi dagli impianti a metano. In più prevede,
per esempio, la possibilità di taratura per l’impiego del gas puro o
premiscelato con idrogeno».
Idrogeno per
riscaldamento: orizzonte al 2025
In prospettiva, quando l’idrogeno farà il proprio
ingresso in maniera consistente nel comparto del riscaldamento? «Dipenderà da
nazione a nazione – risponde Favero –. In Paesi come Regno Unito e Paesi Bassi
ci sono già progetti pilota che, nell’arco di due anni, apriranno la via alla
possibilità di installare su più larga scala caldaie 100% idrogeno in edifici
residenziali. Nel complesso, è comunque possibile pensare all’installazione di
caldaie a idrogeno per tutti i nuovi impianti di caldaie a gas entro il 2025».
In effetti, Baxi Heating
UK ha chiesto al governo britannico
di autorizzare l’installazione di questo tipo di caldaie entro quell’anno.
Certo, tanto dipenderà
dalla possibilità di disporre di una significativa fornitura di idrogeno blu (o grigio), in attesa di
contare sull’idrogeno verde.
<<Oggi l’idrogeno
subisce l’effetto di scala: si parla molto di diverse “tonalità”, con
l’idrogeno verde in cima ai desiderata, tuttavia oggi questa tipologia di idrogeno
sconta un prezzo molto alto per la sua produzione, specie rispetto a quello blu
o grigio. L’importante però è cominciare: perché una volta che si coglieranno i
vantaggi – specie in termini di emissioni
ridotte o azzerate, ancor più nel caso del green
hydrogen – non ci saranno più paragoni, nemmeno con
l’energia elettrica, che sappiamo ancora prodotta in buona parte da
combustibili fossili. Inoltre, l’idrogeno gode di un vantaggio significativo:
una volta prodotto, è possibile stoccarlo. E poi può contare sulla possibilità
di essere veicolato tramite rete gas, già esistente e diffusa in maniera
estesa. È necessario, quindi, superare lo scoglio dei costi. Per questo,
ribadisco, è importante estendere la sperimentazione in altri contesti dove vi
siano consumi energetici significativi», conclude il direttore generale.>>
La business intelligence (BI) combina business analytics, data mining,
visualizzazione dei dati, strumenti e infrastrutture per i dati, nonché le best
practice per permettere alle organizzazioni di prendere più decisioni basate
sui dati
In buona sostanza, sai
di aver acquisito la business intelligence moderna quando hai una vista
completa dei dati della tua organizzazione e li usi per stimolare il
cambiamento, eliminare le inefficienze e attuare un rapido adattamento ai
cambiamenti di mercato e forniture.
Più che indicare una “cosa” specifica, business intelligence è un
termine onnicomprensivo che riguarda i processi e i metodi per raccogliere,
memorizzare e analizzare i dati tratti dalle operazioni o attività aziendali
con l’obiettivo di migliorare le prestazioni. Tutti questi elementi vanno a
creare una vista completa dell’azienda, aiutando le persone a prendere
decisioni migliori e concretizzabili.
Negli ultimi anni, la business intelligence si è sviluppata includendo più
processi e attività per consentire il miglioramento delle prestazioni. Tali
processi includono:
Data mining: uso di database, statistiche e
apprendimento automatico per svelare i trend in ampi set di dati.
Elaborazione di report: condivisione
delle analisi dei dati con i soggetti interessati, affinché possano trarre
conclusioni e prendere decisioni.
Metriche e benchmarking delle prestazioni: confronto dei dati sulle prestazioni attuali con i dati storici,
per monitorare le prestazioni rispetto agli obiettivi. Di solito, si
esegue usando dashboard personalizzate.
Analisi descrittiva: utilizzo di
analisi dei dati preliminari per comprendere cosa è accaduto.
Esecuzione delle query: interrogazione
dei dati con specifiche domande, per cui la BI estrae le risposte dai set
di dati.
Analisi statistica: partendo
dai risultati dell’analisi descrittiva, ulteriore esplorazione dei dati
usando le statistiche, per esempio in relazione a come e perché si sia
verificato un determinato trend.
Visualizzazione dei dati: trasformazione
dell’analisi dei dati in rappresentazioni visive, come grafici, diagrammi
e istogrammi, per una fruizione dei dati più facile.
Analisi visiva: esplorazione dei dati attraverso le
rappresentazioni visive, per comunicare informazioni al volo e seguire il
flusso dell’analisi.
Preparazione dei dati: compilazione
di diverse origini dati, identificandone dimensioni e misurazioni e
preparandole per l’analisi dei dati.
Perché la business intelligence è importante?
La business
intelligence consente alle aziende di prendere decisioni migliori, mostrando
dati attuali e storici all’interno del contesto aziendale.
Gli analisti possono sfruttare la BI per fornire benchmark su prestazioni e concorrenti, per consentire
all’organizzazione di funzionare in modo più fluido e più efficiente.
Inoltre, gli analisti possono
individuare facilmente i trend di mercato, per aumentare le vendite o gli
introiti.
Se usati in modo efficace, i dati giusti possono essere utili per qualsiasi
attività, dalla conformità alle assunzioni.
Ecco alcuni modi in cui la business intelligence può
consentire alle aziende di prendere decisioni più intelligenti basate sui dati:
Identificare i
modi per aumentare i profitti
Analizzare il
comportamento dei clienti
Confrontare i
dati con i concorrenti
Monitorare le
prestazioni
Migliorare le
operazioni
Prevedere il
successo
Individuare i
trend di mercato
Scoprire
complicazioni o problemi
Come funziona la business intelligence
Le aziende e le organizzazioni hanno tante domande e tanti obiettivi.
Per rispondere alle domande e monitorare le prestazioni rispetto agli
obiettivi, raccolgono i dati necessari, li analizzano e determinano le azioni
da intraprendere per raggiungere i propri obiettivi.
Dal punto di vista tecnico, i dati non elaborati vengono raccolti
dall’attività aziendale, per poi essere elaborati e archiviati nei data warehouse.
Dopodiché, gli utenti possono accedere ai dati e passare all’analisi per
rispondere alle domande che riguardano l’azienda.
Come funzionano insieme BI, analisi dei dati e
business analytics
La business intelligence include analisi dei dati e business analytics.
Tuttavia, li usa solo come parte dell’intero processo. La BI consente agli
utenti di trarre conclusioni dalle analisi dei dati.
I data
scientist approfondiscono le specifiche dei dati, usando statistiche avanzate e
analisi predittive per svelare modelli e prevedere modelli futuri.
La domanda
dell’analisi dei dati è: “Perché è successo e cosa potrà succedere?”
La business intelligence ricorre a quei modelli e algoritmi e scompone i
risultati in un linguaggio fruibile.
Secondo il glossario dei termini IT di Gartner, la “business analytics include il data mining, l’analisi predittiva, l’analisi applicata e la statistica“.
In breve, le organizzazioni conducono la business analytics quale parte
della più ampia strategia di business intelligence.
La BI è
progettata per rispondere a query specifiche e fornire un’analisi
immediata, utile per decisioni e pianificazione.
Le aziende, però, possono usare i processi di analisi per migliorare
continuamente l’iterazione e le domande di follow-up.
L’analisi aziendale non deve essere un processo lineare, perché la risposta
a una domanda porterà con ogni probabilità a sviluppare nuove domande e così
via. Al contrario, va considerata come un processo ciclico, che comprende le
fasi di accesso ai dati, identificazione, esplorazione e condivisione delle
informazioni. Si parla, appunto, di ciclo di analisi per descrivere come le
aziende usano l’analisi per rispondere alle domande e alle aspettative in
continuo cambiamento.
La differenza tra BI tradizionale e BI moderna
In passato, gli strumenti di business intelligence si basavano su un
modello tradizionale.
Si trattava di un approccio top-down in cui la business intelligence era
gestita dall’organizzazione IT e si usavano report statici per rispondere alla
maggior parte delle domande di analisi, se non a tutte.
Perciò, se qualcuno aveva un’ulteriore domanda sul report ricevuto, la sua
richiesta veniva messa in fondo alla coda di reporting e il processo doveva
ripartire daccapo.
Di conseguenza, i cicli dell’attività di report erano lenti e frustranti e
le persone non riuscivano a sfruttare i dati attuali per prendere decisioni.
La business intelligence tradizionale rappresenta ancora un approccio
comune per le ordinarie elaborazioni di report e per rispondere a query
statiche.
Invece, la business intelligence moderna è interattiva e
accessibile. Sebbene i reparti IT siano ancora fondamentali per la gestione
dell’accesso ai dati, molteplici livelli di utenti possono personalizzare le
dashboard e creare report anche con poco preavviso. Con il software appropriato,
gli utenti sono in grado di visualizzare i dati e rispondere alle proprie
domande.
Strumenti e piattaforme di business intelligence
Molti strumenti e piattaforme self-service di business intelligence
semplificano il processo di analisi. In questo modo per le persone è più facile
osservare e comprendere i dati, pur non avendo le competenze tecniche per
approfondirli autonomamente. Sono disponibili molte piattaforme di BI per
l’attività di report ad hoc, la visualizzazione dei dati e la creazione di
dashboard personalizzate per molteplici livelli di utenti.
Il ruolo futuro della business intelligence
La business intelligence si sviluppa continuamente di pari
passo con le esigenze aziendali e la tecnologia. Pertanto, ogni anno,
individuiamo i trend attuali per tenere gli utenti al passo con le innovazioni.
Visto
l’obiettivo delle aziende di essere sempre più basate sui dati, l’impegno per
la condivisione dei dati e la collaborazione aumenterà. La visualizzazione dei
dati sarà ancor più fondamentale per il lavoro congiunto tra team e reparti.
La BI offre funzionalità per il monitoraggio delle vendite quasi in tempo
reale, consente agli utenti di scoprire le informazioni nel comportamento dei
clienti, di prevedere i profitti e molto altro. Svariati settori, come quello
della vendita al dettaglio, assicurativo e petrolifero, hanno adottato la BI, e
ogni anno se ne aggiungono altri. Le piattaforme di BI si adattano
all’innovazione e alle nuove tecnologie degli utenti.
La pandemia ha costretto molte
aziende a ripensare a come misurare successo e risultati e reinventarsi impresa sostenibile
Nel periodo pre-Covid, la maggior
parte delle imprese era concentrato soprattutto sulla gestione della
redditività e della crescita. Quello che questa crisi ha rivelato è
l’importanza della flessibilità, della resilienza e della sostenibilità nel suo
senso più ampio. Diventare quindi sempre più impresa sostenibile.
La prossima “normalità”
Mentre le aziende si adattano alle
dinamiche di mercato di quella che molti definiscono la “nuova normalità”, è
anche tempo per loro di considerare il futuro che le attende in uno scenario
che si sta delineando molto diverso da quello in cui viviamo oggi: un futuro
che sarà la nostra “prossima normalità”.
Conosciamo tutti le enormi sfide
legate al cambiamento climatico.
Secondo le Nazioni Unite, siamo entrati nel “decennio dell’azione”.
Una finestra di otto-dieci anni in
cui, come individui e organizzazioni, possiamo ancora apportare i cambiamenti
necessari per mitigare gli effetti negativi sul cambiamento climatico.
La sostenibilità, tuttavia, va oltre le questioni ambientali. Ha a che
fare anche con la creazione di luoghi sani e sicuri in cui vivere, la riduzione
delle disuguaglianze e la garanzia di un’educazione accessibile a tutti, come
definito dagli Obiettivi diSviluppo Sostenibile (OSS/SDGs) delle
Nazioni Unite.
Oggi per molte aziende, questo
concetto esteso di sostenibilità ha assunto un significato più profondo. Già
prima della pandemia, le imprese venivano incoraggiate a misurare la sostenibilità e il successo aziendale,
in modo da collegare i classici tre ambiti: impatto economico, sociale e ambientale.
Imprese Intelligenti
Le conversazioni con molti
business leader si concentrano su come le imprese possono superare l’incertezza
sviluppando maggior resilienza e modelli veramente sostenibili adatti per
ripartire nell’economia post-pandemia.
L’emergenza Covid-19 ha non solo
accelerato in modo significativo il percorso di molte aziende verso la
sostenibilità, ma le ha anche portate a comprendere i vantaggi che potrebbero
ottenere. E in futuro saranno indubbiamente le imprese sostenibili ad attrarre maggiori finanziamenti, migliorare il
business e conquistare l’attenzione dei consumatori.
In che modo le organizzazioni
possono realizzare nuovi vantaggi in termini di sostenibilità?
Claudio
Muruzabal, SAP President for Southern Europe, Middle East and Africa, afferma di aver creduto
a lungo – e di averne molto discusso con clienti e partner – nel ruolo
fondamentale che la tecnologia ricopre per le aziende nell’aiutarle a
raggiungere i propri obiettivi e creare un valore che rimane nel tempo.
E l’unico modo per ottenerlo è
semplificare i processi aziendali sfruttando le tecnologie emergenti per creare una piattaforma operativa e gestionale integrata e basata sui dati. Le
aziende che raggiungono questo livello di semplificazione diventano vere imprese intelligenti.
La capacità di riconvertirsi
Durante i momenti più difficili
dei numerosi lockdown che ognuno di noi ha vissuto, abbiamo visto case
automobilistiche iniziare a produrre respiratori, aziende vinicole realizzare
disinfettanti per le mani di alta qualità e produttori di filati convertire i
loro impianti per confezionare dispositivi di protezione individuale.
Certamente non era il loro core
business. Ma hanno capito che era in linea con il loro purpose,
hanno compreso le aspettative dei loro clienti e come potevano agire per
aiutare chi ne aveva bisogno. Sono stati in grado di reinventarsi per adattarsi
alle condizioni di mercato ed esplorare nuovi modelli di business, scalando
verso l’alto o il basso a seconda delle esigenze, rimanendo, al contempo,
concentrati sui propri clienti e dipendenti.
Nel bel mezzo della pandemia,
abbiamo visto Al Dahra, azienda agroalimentare degli Emirati Arabi Uniti,
centralizzare i propri processi di approvvigionamento per garantire forniture e
consegne in tempi più rapidi, e individuare nuovi fornitori per soddisfare l’aumento
della domanda. Abbiamo visto il leader italiano dell’ingegneria industriale De
Nora implementare da remoto in pieno lockdown il nuovo sistema gestionale nella
sua consociata statunitense. E ancora, il Ministero della Sanità del Marocco ha
allestito una SAP Digital Boardroom in due sole settimane per fornire il
monitoraggio e il tracciamento in tempo reale del contagio da Covid-19.
Queste aziende non sono state
fortunate né si sono trovate nel posto giusto al momento giusto. Sono state
capaci di prendere decisioni basate su dati contestuali e in tempo reale
riguardo alle loro operation e di combinarle con le richieste e le
esperienze dei clienti e dei dipendenti per raggiungere grandi risultati.
Ciò che questa pandemia sta
dimostrando è che le imprese intelligenti sono, per definizione, sostenibili e
resilienti. Questa resilienza permette loro di affrontare le sfide in modo olistico, pur continuando ad
avere un impatto positivo all’interno delle loro comunità e, più in generale,
nel mondo.
Anche con l’ampliamento
della definizione di sostenibilità dell’UNDP,
le imprese intelligenti hanno la capacità unica di diventare organizzazioni
sostenibili, perché sono in grado di prendere decisioni rapide e guidate dai
dati lungo l’intera catena del valore.
La sostenibilità, tuttavia, va oltre le questioni ambientali: ha a che
fare anche con la creazione di luoghi sani e sicuri in cui vivere, la riduzione
delle disuguaglianze e la garanzia di un’educazione accessibile a tutti.
La vera sostenibilità
Realizzare la vera sostenibilità
nello scenario post-pandemia significa sapere dove si trovano i clienti e gli
stakeholder, di cosa hanno bisogno in questo momento e come servirli al meglio
con prodotti e servizi per loro rilevanti. Vuol dire sapere dove si trovano le
materie prime ed essere in grado di orientarsi verso nuove fonti di
approvvigionamento quando una non è più disponibile. Vuol dire creare un pool
di talenti all’interno dell’organizzazione che sappia affrontare situazioni di
lockdown improvvise e adottare un nuovo approccio efficace e chiaro ai viaggi
quando le limitazioni per gli spostamenti iniziano ad aumentare.
Soprattutto, si tratta di
utilizzare la tecnologia per creare
resilienza, innovazione e sviluppo. In questo modo, se dovesse arrivare una
prossima crisi, la vostra azienda non solo sarà meglio preparata a superare la
tempesta, ma identificherà e trarrà vantaggio dalle nuove opportunità. Questa è
la “prossima normalità” con la quale tutti noi dovremo imparare a
convivere.
L’economia è sempre più green. Si tende a puntare sui Megatrend, ossia fenomeni di lungo periodo destinati a trasformare il mondo che conosciamo, dall’Ambiente al Digitale
L’Ambiente e le risorse naturali, le energie rinnovabili, i cambiamenti sociali e demografici con l’invecchiamento della popolazione, ma anche la tecnologia e l’energia pulita, e ancora la salute, la ricerca e il benessere delle persone.
L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, ha cambiato profondamente le abitudini e gli interessi del mondo intero, anche in campo economico, e sui risparmi della popolazione. Questi i temi a cui è rivolta oggi più che mai l’attenzione e l’interesse. Si sta spingendo sempre più ad investimenti sostenibili, e a tutti quei “Megatrend” ovvero quelle tematiche che consentono di investire sui fenomeni di lungo periodo, destinati a trasformare il mondo in cui viviamo, lavoriamo, consumiamo.
Un investimento oculato quindi sul nostro futuro e soprattutto su quello dei nostri figli e nipoti.
I Megatrend sono alla base di numerosi fondi, attivi e passivi, di gestioni assicurative e di piani pensionistici che combinano in genere varie tematiche e puntano su molteplici aziende per ridurre il rischio. Tra le società di gestione italiane che stanno maggiormente premendo l’acceleratore sul fronte Megatrend vi sono realtà come Fineco Bank, che propone il fondo dei fondi, FAM Megatrends con cinque tematiche di base, cioè: invecchiamento della popolazione, crescente scarsità d’acqua, veicoli elettrici, cambiamenti climatici e cure oncologiche. L’Associazione ANIMA invece punta in particolare sulla cosiddetta “Silver Economy” ovvero il cambiamento dei modelli di consumo e di trasformazione digitale. Sul fronte delle formule assicurative di investimento ci sono poi alcuni interessanti prodotti come GeneraValore del gruppo Generali Italia che propone di cogliere le opportunità del Megatrend demografici, di business, e investimenti sostenibili.
Le imprese, aziende e industrie, gli investitori in tutto il mondo, chiedono sempre di più sostenibilità per i propri investimenti, e anche in Italia si punta sempre più al risparmio gestito e in generale alle aziende a cui dare fiducia e denaro. Tra i fondi a cui si guarda con interesse, per esempio, c’è ESG- ENVIRONMENTAL (rispetto per l’ambiente) SOCIAL (attenzione al sociale) GOVERNANCE (buon governo) con una gestione aziendale in linea con i principi economici ma soprattutti con quelli etici.
Anche in Italia cresce l’offerta di prodotti sostenibili. Il Gruppo Poste Italiane, ad esempio, integra i principi ESG nei processi di investimento e di assicurazione. con il Fondo Poste Investo Sostenibile socialmente responsabile, che investe in un paniere di titoli selezionato con attenzione specifica ai fattori ambinetali, sociali e di governance e con un benchmark composto da indici che sono essi stessi sostenibili.
E ancora, si chiama Diamond Eurozone Office il fondo immobiliare tutto “green” che ha ottenuto la massima valutazione internazionale Gresb.
Anche il Mediolanum Flessibile Globale è diventato Flessibile Futuro Sostenibile e al tradizionale approccio gestionale affiancherà anche un approccio ESG con l’obiettivo di contribuire alla riduzione delle emissioni di carbone.
A ottobre scorso è stato lanciato inoltre il Best Brands Global Impact da Mediolanum International Funds, soluzione di investimento azionario globale che investe in aziende in grado di generare un impatto positivo in termini sociali e ambientali.