Energia termica industriale: recupero e conversione

Il progetto I-Therm di Synesis ha concepito due tecnologie di recupero del calore per temperature di esercizio comprese tra i 200 e i 1.350 °C e ha sviluppato due tecnologie per la trasformazione del calore in elettricità

L’obiettivo del progetto I-Therm di Synesis, lanciato nel 2015 e nella sua fase conclusiva allo scorso dicembre, era quello di dimostrare tecnologie e processi orientati ad un efficiente e conveniente recupero di calore negli impianti industriali, nel range di temperatura tra 70°C e 1000°C, nonché l’integrazione ottimale di tali tecnologie con sistemi di generazione di energia esistenti o con elettricità generata dal recupero di calore in eccesso.

Il progetto ha ricevuto fondi dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea.

Synesis dunque ha partecipato al progetto con il ruolo di system integrator, focalizzandosi su aspetti relativi al controllo e al monitoraggio dei sistemi sviluppati.

I sistemi di controllo e monitoraggio sono stati sviluppati adottando la tecnologia IEC-61499, uno standard in continua evoluzione che Synesis supporta dalla sua prima comparsa, collaborando con attori della ricerca e dell’industria durante numerosi progetti di ricerca e implementazioni pilota.

A seguito delle severe condizioni di lavoro caratteristiche di questi contesti industriali, e funzionalità di monitoraggio remoto sono considerate un requisito essenziale, in quanto permette l’osservazione continua del comportamento del sistema e la possibilità di intercettare, o talvolta anche di prevedere, possibili anomalie.

Per questo, Synesis ha sviluppato un duplice sistema in grado di monitorare i segnali a livello di driver, memorizzarli in un database locale e pubblicarli su un ulteriore sistema remoto, accessibile attraverso una interfaccia grafica basata su tecnologie web.

Tale disaccoppiamento dei differenti sottosistemi consente di controllare possibili criticità, causate da un lato dalle avversità degli ambienti industriali, dall’altro dalla latenza e possibile indisponibilità della connessione internet.

Tutte e quattro le tecnologie sono coadiuvate dal monitoraggio continuo dei parametri chiave di prestazione e dalla regolazione automatica in tempo reale. Il progetto ha inoltre aggiornato la serie di strumenti Einstein, che permette l’analisi rapida della fattibilità e degli aspetti economici del recupero e dell’utilizzo del calore residuo per l’inclusione delle tecnologie di I-Therm.

L’economizzatore a condensazione con tubi di calore (200-500 °C) del progetto è studiato per aumentare l’efficienza del recupero del calore proveniente da caldaie o altri fumi di combustione. Il dispositivo è in grado di recuperare il 10-25% in più di energia rispetto agli economizzatori senza condensazione ed è particolarmente adatto a scarichi “sporchi” acidi  presenti nell’industria petrolchimica, cementiera, vetraria, siderurgica e alimentare.

L’industria siderurgica potrebbe trarre enormi vantaggi dal sistema a tubi di calore piatti (Flat Heat Pipe System, FHPS), concepito per recuperare il calore radiante dal raffreddamento di prodotti su un nastro trasportatore a partire da una temperatura di 1.350 °C fino ad arrivare a 300 °C.

Il sistema a ciclo flash trilaterale (Trilateral Flash Cycle, TFC) è adatto alla conversione calore-elettricità da flussi di calore residuo a bassa temperatura (70-200 °C), presenti soprattutto nell’industria petrolchimica, metallurgica, della carta, della pasta di carta e di alimenti e bevande. Il sistema TFC favorisce un maggiore potenziale di recupero del calore e una produzione energetica superiore per unità di calore immessa rispetto ai sistemi tradizionali a ciclo Rankine a fluido organico. Infine, il ciclo di trasformazione calore residuo-elettricità a CO2 supercritica (sCO2) è una tecnologia unica, nonché il primo sistema completo a essere funzionante in Europa. Questa tecnologia interviene sul calore residuo ad alte temperature (400-1.000 °C) nell’industria siderurgica, cementifera, vetraria e petrolchimica. La produzione di energia elettrica delle tecnologie a TFC e a CO2 supercritica ammonta rispettivamente a 100 kilowatt elettrici (kWe) e 50 kWe.

Tre delle quattro tecnologie sono state selezionate dal Radar dell’innovazione della Commissione europea, che individua le soluzioni innovative più promettenti e le menti innovatrici che le hanno create, fornendo loro la consulenza di esperti affinché approdino sul mercato. Il suo obiettivo è quello di “creare un flusso constante di aziende tecnologiche promettenti capaci di trasformarsi nei futuri campioni industriali”. 

La tracciabilità dei rifiuti di plastica nell’ambiente

plastica e inquinamento

IBM The Alliance to End Plastic Waste hanno annunciato che IBM entrerà a far parte di Alliance come Membro Sostenitore della value chain dei beni di consumo e della plastica


Alliance è un’organizzazione no-profit nata per riunire in un’unica comunità tutti i membri della value chain dei beni di consumo e della plastica per combattere la sfida globale relativa ai rifiuti.

IBM collaborerà con Alliance per progettare una nuova piattaforma dati ospitata su IBM Cloud con l’obiettivo di tracciare i rifiuti plastici e contribuire al loro recupero a livello globale.

Chiamata Plastics Recovery Insight and Steering Model (“PRISM”) la piattaforma servirà come unica fonte di dati coerenti che forniranno informazioni sulle azioni intraprese da ONG, membri della value chain, comunità, autorità di regolamentazione e altre organizzazioni per migliorare le decisioni e i programmi di gestione dei rifiuti.

La piattaforma sarà progettata per consentire alle parti interessate di far confluire e unire vari set di dati in modo utili a collaborare e affrontare la sfida dei rifiuti plastici.

Le principali aree di intervento comprendono: il consumo e la raccolta della plastica, i rifiuti plastici generati e dispersi nell’ambiente, la gestione dei rifiuti e le soluzioni di riciclo in atto. Ulteriori set di dati verranno inclusi man mano che lo strumento verrà ampliato.


Un ostacolo molto significativo che dobbiamo affrontare nel combattere la sfida dello spreco di plastica è come riunire la moltitudine di dati esistenti in modo verificabile, flessibile e operativo“, ha detto Nick Kolesch, Vice Presidente per i Progetti, Alliance to End Plastic Waste. “IBM Cloud offre la flessibilità a tutti gli stakeholder e i partecipanti di contribuire in modo sicuro fornendo i propri dati, attraverso un percorso facile per la migrazione, l’hosting e l’accesso. Siamo lieti che IBM si sia unita ai nostri sforzi e siamo emozionati per il contributo in termini di soluzioni, tecnologie avanzate e capacità che IBM potrà apportare nel perseguimento della nostra missione“.


La plastica gioca un ruolo essenziale nella nostra economia globale, dal semplice imballaggio per la spedizione, ai materiali critici e salvavita per gli ospedali e gli operatori sanitari“, ha detto Manish Chawla, Global Industry Managing Director, Energy, Resources, and Manufacturing di IBM.

Sfruttando la potenza del cloud e dell’intelligenza artificiale possiamo riunire dati preziosi e disparati in un ambiente sicuro e flessibile dove tutti, dai membri dell’Alleanza ai governi e alle autorità di regolamentazione, possono collaborare per affrontare questa sfida globale“.


La piattaforma sarà progettata per consentire agli utenti di integrare e scalare facilmente set di dati diversi senza compromettere la loro sicurezza. Il progetto è già in fase di sviluppo con il supporto di IBM Garage – un luogo in cui le organizzazioni possono lavorare con IBM per accelerare l’innovazione e i risultati attesi combinando tecnologia, design e strategia aziendale.


La collaborazione con l’Alleanza si basa sulla lunga esperienza di IBM nell’aiutare le aziende ad operare in modo più sostenibile.

Le tecnologie IBM, tra cui cloud, AI e blockchain, sono utilizzate dai clienti per sostenere i loro obiettivi ambientali.


L’impegno di IBM per l’ambiente risale al 1971, quando pubblicò la sua prima dichiarazione di politica ambientale. Oggi, IBM continua ad impegnarsi per una buona gestione delle risorse del pianeta e ha compiuto notevoli progressi nella gestione dei rifiuti, nella conservazione dell’energia, nell’utilizzo di fonti rinnovabili e nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il rapporto annuale IBM sull’ambiente descrive nel dettaglio come IBM smaltisce i prodotti e come si adopera per fare in modo che oltre il 95% (in peso) degli scarti venga riutilizzato, rivenduto o riciclato.


L’Alleanza è stata costituita nel gennaio 2019 e comprende più di 50 aziende associate, partner di progetto, alleati e sostenitori con l’impegno di contribuire a porre fine alla dispersione dei rifiuti plastici nell’ambiente.

L’obiettivo è quello di investire 1,5 miliardi di dollari in cinque anni per finanziare e incubare progetti e programmi pilota che creino valore dai rifiuti di plastica e, in ultima analisi, sostengano la realizzazione di progetti di economia circolare. Ad oggi, l’Alleanza ha attivato 14 programmi e iniziative globali e prevede di raddoppiare questo numero nel prossimo futuro.

BEA Technologies filtrazione per uno sviluppo sostenibile

BEA Technologies è impegnata a studiare soluzioni innovative di filtrazione da applicare alle nuove tecnologie di riciclo e di recupero delle plastiche per uno sviluppo sostenibile

L’emergenza ambientale chiede di elaborare nuovi schemi di sviluppo più sostenibili (in linea con gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030) e di essere consapevoli del cambiamento per dare risposte alle richieste di una società sempre più attenta.

Ci sono fattori in evoluzione che oggi stanno cambiando i mercati e le modalità di produzione, influenzando soprattutto le giovani generazioni che vogliono essere parte di questo nuovo percorso.

Tutte le aziende sono chiamate a dare una risposta a queste richieste per rimanere presenti in un mercato a tutti i livelli in termini di sostenibilità ambientale e sociale. Qui risiede il bisogno di ripensare i processi di produzione sia in una prospettiva a breve sia a lungo periodo.

 BEA Technologies S.p.A è impegnata nello studio di soluzioni di filtrazione da applicare ai nuovi processi che sono allo studio per il recupero e il riciclo dei vari tipi di plastica.

La necessità è sempre più quella di ridurre la dispersione della plastica nell’ambiente e nei mari e consentire un recupero e riciclo (almeno un parziale) delle tonnellate di plastica che spesso finiscono negli “inceneritori” oppure nelle discariche.

In questo scenario si è venuto a configurare, già da tempo, un approccio di economia circolare che dovrebbe puntare a un maggior recupero e riciclo di molte materie prime da articoli e manufatti che sono stati usati e che  non sono più funzionali. La circolarità può dare risultati molto interessanti soprattutto se applicata, attraverso un corretto utilizzo di tecniche di raccolta differenziata e selezione, al recupero e riciclaggio di specifici classi e tipi di polimeri come potrebbe essere il PET, usato per lo stampaggio delle bottiglie di plastica, o le fibre sintetiche utilizzate nelle fodere dei capi di abbigliamento, oppure il polistirolo usato nelle vaschette dei prodotti alimentari o anche il polietilene degli imballaggi alimentari.

Recentemente alcuni scienziati impiegati presso le università inglesi hanno scoperto una nuova tecnica per il riciclaggio chimico della plastica riportandola quasi allo stato iniziale. Questo metodo è in sperimentazione per migliorare la qualità della plastica riciclata al fine di renderla ancora adatta allo stampaggio o alla formatura di nuovi prodotti e nuovi imballaggi chimicamente inerti e puliti.

BEA Technologies è coinvolta nelle fasi inziali di questo processo dal momento in cui è necessario separare dalla platica frammentata una quantità di materiali estranei che potrebbero inquinare il prodotto finale da riutilizzare. Dato che le quantità di questi residui inquinanti può essere consistente, occorre assolutamente adottare dei sistemi di filtrazione in grado di pulirsi e rigenerarsi facilmente dopo aver separato e accumulato tutti i residui che devono essere separati dalla plastica destinata a ridiventare “quasi vergine”. 

Il sistema di filtrazione proposto, che è completamente chiuso per evitare il rilascio di eventuali vapori e odori nell’ambiente di lavoro, si basa su più contenitori filtranti collegati in parallelo e con alta capacità di accumulo, in modo da poter iniziare il ciclo di scarico e pulizia di un filtro mantenendo gli altri in linea senza interrompere la filtrazione. I residui separati dalla plastica, che rappresentano soltanto una frazione minore di quella che viene riciclata, vengono scaricati in un sistema di convogliamento che li può scaricare in un compattatore o in un sistema alternativo di stoccaggio. Aspettiamo di vedere questa tecnologia passare dalla fase sperimentale all’applicazione su scala industriale per dare maggiore impulso al riciclo. 

L’Emergenza Covid spinge la scelta su temi “green”

L’economia è sempre più green. Si tende a puntare sui Megatrend, ossia fenomeni di lungo periodo destinati a trasformare il mondo che conosciamo, dall’Ambiente al Digitale

L’Ambiente e le risorse naturali, le energie rinnovabili, i cambiamenti sociali e demografici con l’invecchiamento della popolazione, ma anche la tecnologia e l’energia pulita, e ancora la salute, la ricerca e il benessere delle persone.

L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, ha cambiato profondamente le abitudini e gli interessi del mondo intero, anche in campo economico, e sui risparmi della popolazione. Questi i temi a cui è rivolta oggi più che mai l’attenzione e l’interesse. Si sta spingendo sempre più ad investimenti sostenibili, e a tutti quei “Megatrend” ovvero quelle tematiche che consentono di investire sui fenomeni di lungo periodo, destinati a trasformare il mondo in cui viviamo, lavoriamo, consumiamo.

Un investimento oculato quindi sul nostro futuro e soprattutto su quello dei nostri figli e nipoti.

I Megatrend sono alla base di numerosi fondi, attivi e passivi, di gestioni assicurative e di piani pensionistici che combinano in genere varie tematiche e puntano su molteplici aziende per ridurre il rischio. Tra le società di gestione italiane che stanno maggiormente premendo l’acceleratore sul fronte Megatrend vi sono realtà come Fineco Bank, che propone il fondo dei fondi, FAM Megatrends con cinque tematiche di base, cioè: invecchiamento della popolazione, crescente scarsità d’acqua, veicoli elettrici, cambiamenti climatici e cure oncologiche. L’Associazione ANIMA invece punta in particolare sulla cosiddetta “Silver Economy” ovvero il cambiamento dei modelli di consumo e di trasformazione digitale. Sul fronte delle formule assicurative di investimento ci sono poi alcuni interessanti prodotti come GeneraValore del gruppo Generali Italia che propone di cogliere le opportunità del Megatrend demografici, di business, e investimenti sostenibili.

Le imprese, aziende e industrie, gli investitori in tutto il mondo, chiedono sempre di più sostenibilità per i propri investimenti, e anche in Italia si punta sempre più al risparmio gestito e in generale alle aziende a cui dare fiducia e denaro. Tra i fondi a cui si guarda con interesse, per esempio, c’è ESG- ENVIRONMENTAL (rispetto per l’ambiente) SOCIAL (attenzione al sociale) GOVERNANCE (buon governo) con una gestione aziendale in linea con i principi economici ma soprattutti con quelli etici.

Anche in Italia cresce l’offerta di prodotti sostenibili. Il Gruppo Poste Italiane, ad esempio, integra i principi ESG nei processi di investimento e di assicurazione. con il Fondo Poste Investo Sostenibile socialmente responsabile, che investe in un paniere di titoli selezionato con attenzione specifica ai fattori ambinetali, sociali e di governance e con un benchmark composto da indici che sono essi stessi sostenibili.

E ancora, si chiama Diamond Eurozone Office il fondo immobiliare tutto “green” che ha ottenuto la massima valutazione internazionale Gresb.

Anche il Mediolanum Flessibile Globale è diventato Flessibile Futuro Sostenibile e al tradizionale approccio gestionale affiancherà anche un approccio ESG con l’obiettivo di contribuire alla riduzione delle emissioni di carbone.

A ottobre scorso è stato lanciato inoltre il Best Brands Global Impact da Mediolanum International Funds, soluzione di investimento azionario globale che investe in aziende in grado di generare un impatto positivo in termini sociali e ambientali.

Tenaris-Edison, la produzione di acciaio per l’idrogeno verde

progetto idorgeno verde

Il progetto, che rientra nella più ampia iniziativa “Dalmine Zero Emissions”, ha l’obiettivo di avviare la prima applicazione dell’idrogeno verde su scala industriale in Italia per decarbonizzare il settore siderurgico

Tenaris, Edison e Snam hanno sottoscritto una lettera di intenti per avviare un progetto finalizzato alla decarbonizzazione dell’acciaieria di Tenaris a Dalmine, attraverso l’introduzione dell’idrogeno verde in alcuni processi produttivi.  

Tenaris, Edison e Snam collaboreranno per individuare e realizzare le soluzioni più idonee per la produzione, la distribuzione e l’utilizzo di idrogeno verde nel sito Tenaris di Dalmine, contribuendo con le proprie competenze per investire nelle migliori tecnologie disponibili.

Il progetto è finalizzato alla generazione di idrogeno e ossigeno tramite un elettrolizzatore da circa 20 MW da installare presso lo stabilimento di Dalmine e all’adattamento del processo produttivo dell’acciaio mediante l’utilizzo di idrogeno verde in sostituzione al gas naturale.

L’iniziativa potrà inoltre includere la realizzazione di un sito di stoccaggio per l’accumulo di idrogeno ad alta pressione e l’utilizzo dell’ossigeno, prodotto localmente tramite elettrolisi, all’interno del processo fusorio.

Lo sviluppo del progetto ridurrebbe in modo significativo le emissioni di CO 2 legate alla produzione dell’acciaio.

Le tre società valuteranno in seguito se ampliare la collaborazione per estendere l’applicazione dell’idrogeno ad altre fasi del processo produttivo. Il progetto si inserisce nella più ampia iniziativa “Dalmine Zero Emissions”, avviata da Tenaris insieme a Tenova e Techint Engineering & Construction, per integrare l’idrogeno verde nella produzione di acciaio da forno elettrico e nelle lavorazioni a valle dello stabilimento di Dalmine.

Si tratterebbe della prima applicazione di idrogeno verde su scala industriale nel settore siderurgico in Italia.  

“Il progetto ‘Dalmine Zero Emissions'”, afferma Michele Della Briotta, Presidente Tenaris Europa e AD TenarisDalmine  “rappresenta la più recente delle iniziative realizzate da Tenaris in Italia per il miglioramento della propria impronta ambientale, dopo gli investimenti e i progetti per la tutela dell’aria, l’efficienza energetica, la riduzione dei consumi di materie prime, l’aumento del contenuto di materiale riciclato nei nostri prodotti, la valorizzazione e il riuso dei nostri sottoprodotti

Con il progetto ‘Dalmine Zero Emissions’, insieme a partner qualificati, diamo inizio al percorso di transizione energetica dello stabilimento di Dalmine, ponendoci all’avanguardia della sostenibilità del settore siderurgico”.

“Con questa intesa Edison avvia un percorso di sostegno alla decarbonizzazione di settori industriali chiave per l’economia nazionale , contribuendo così al raggiungimento degli obiettivi della transizione energetica fissati a livello nazionale con il PNIEC e a livello europeo con il Green Deal” dichiara Nicola Monti,Amministratore Delegato di Edison.“L’energia rinnovabile prodotta dai nostri impianti e le soluzioni tecnologiche di cui possiamo disporre possono contribuire concretamente allo sviluppo di una nuova e importante filiera nazionale, che nei prossimi decenni è destinata ad accompagnare l’evoluzione del sistema economico e produttivo verso la neutralità climatica”.

“L’idrogeno verde – commenta l’Amministratore Delegato di Snam,  Marco Alverà – può rappresentare la soluzione ideale per decarbonizzare alcuni importanti settori industriali, in particolare per produrre nel lungo periodo acciaio a zero emissioni. L’accordo di oggi, che vede protagoniste tre aziende attive lungo l’intera catena del valore, è un primo passo per poter raggiungere questo importante obiettivo. Grazie alle sue tecnologie e alla sua infrastruttura, Snam si pone come uno degli abilitatori della filiera dell’idrogeno per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici e alla creazione di nuove occasioni di sviluppo, in linea con le strategie nazionali ed europee”.

La realizzazione del progetto sarà disciplinata in separati accordi negoziati tra le parti nel rispetto del quadro normativo e regolatorio.

L’innovazione digitale e la sua “governance”, per guardare al futuro

innovazione digitale
I più recenti traguardi della ricerca scientifica e le tecnologie emergenti, tra cui intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologie e biotecnologie, pongono alcuni interrogativi sull’uso che ne fa l’uomo e sugli scopi di tale utilizzo

Robot umanoidi, nanotecnologie e computazione stanno segnando in modo importante la metodologia della ricerca scientifica, fungendo da strumenti capaci di guidarla e di potenziarla. 

Strumenti in cui ingegneria, neuroscienze, genomica, chimica, fisica, matematica e informatica diventano discipline trasversali, applicate ad ambiti diversi, dalla medicina alla sostenibilità ambientale, dalla farmaceutica alla produzione di energia, come spiega Giorgio Metta, scienziato, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, nonché “papà” del robot umanoide iCub e professore di robotica cognitiva presso l’Università di Playmouth, nel Regno Unito.

Gli algoritmi e i sistemi di intelligenza artificiale oggi hanno il potere di diffondere e rafforzare stereotipi e pregiudizi di genere, che rischiano di emarginare le donne su scala globale.

Considerando la crescente presenza dell’AI nelle nostre società, questo potrebbe mettere le donne nella condizione di rimanere indietro nella sfera lavorativa, economica, politica e sociale, come sottolinea spesso Darya Majidi, esperta di informatica, AI e trasformazione digitale, imprenditrice con, all’attivo, alcune aziende High Tech in Italia e all’estero, fondatrice della comunità Donne 4.0 e autrice dei libri “Donne 4.0” e “Sorellanza Digitale”.

Vittima e, insieme, carnefice di sè stesso, impaurito dai cambiamenti profondi e rapidi del digitale e, allo stesso tempo, avido nel farne un uso e consumo per fini propri, l’uomo (inteso come essere umano, non come identità d genere), all’interno di tale rapporto, fa mostra di comportamenti, di modi e di scopi, divenuti, in questi ultimi anni, oggetto di una riflessione dal respiro ampio, il cui nocciolo è “che cosa” vogliamo farne di quello che abbiamo creato e come s’intenda farlo.

In questa fase – osserva Luciano Floridi, filosofo, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, nonché direttore del Digital Ethics Lab presso l’Oxford Internet Institute  dello stesso Ateneo – non è più l’innovazione tecnologica in sé ciò che fa la differenza, ma è che cosa ne facciamo di questa innovazione. 

Non è alla digital innovation, ma è alla governance, alla “gestione” del digital, che ora dobbiamo guardare.
Il focus, oggi, si incentra dall’innovazione alla sua governance, ovvero alla sua gestione, con tutta una serie di questioni aperte da affrontare, che riguardano gli impatti sulla società, la parità di genere, l’educazione, il mondo del lavoro, solo per citarne alcuni. Sono questi i temi di cui si parlerà il prossimo 18 gennaio, alle 17.00, insieme a: Darya Majidi, Luciano Floridi, Giorgio Metta.
LIVE DAL NUOVISSIMO CANALE YOUTUBE DI TECH4FUTURE

L’evento organizzato da Tech4Future ha come obiettivo offrire spunti di riflessione su temi di grandissima attualità relativi a problemi complessi e di non facile ed immediata risoluzione, ma che possono trovare spunti ed idee dalla condivisione e dalla divulgazione, come nello spirito che anima la missione di Tech4Future.
L’evento è pubblico, aperto a tutti e senza bisogno di registrarsi e lasciare i propri dati. https://www.linkedin.com/events/6751903725079560192/

ABOUT TECH4FUTURE Ad inizio 2020 ho fondato Tech4Future, un progetto editoriale con una vocazione molto chiara: divulgare e promuovere la conoscenza delle tecnologie emergenti analizzandone i possibili impatti (rischi e vantaggi) su persone, aziende, società economico-politiche, ambiente… per incentivare, attraverso sano spirito critico, un utilizzo etico, consapevole e responsabile delle tecnologie del futuro.  

Dal ‘900 ad oggi, la vera rivoluzione sociale con il nylon

nylon Dupont

Nel 1930, nei laboratori statunitensi della DuPont, il chimico Wallace H. Carothers inventò il nylon, prima fibra sintetica poliammidica a basso costo, resistente come l’acciaio e delicata come una ragnatela, come celebrava un popolare slogan di quegli anni

In principio era la seta, la più fine e preziosa delle fibre naturali, ad essere utilizzata per produrre le calze “lunghe”, indossate esclusivamente dagli uomini fino al 1700, perché alle donne era severamente proibito mostrare le gambe.

Con il passare del tempo le calze in seta iniziarono a trovare posto anche nei guardaroba femminili: erano un simbolo di lusso, un sogno inarrivabile per molte donne, costavano una fortuna ed erano molto delicate.

I primi tentativi di realizzare un tipo di seta “artificiale” e più accessibile ebbero una svolta decisiva nel 1924, con l’invenzione del rayon, una fibra tessile artificiale simile come consistenza alla seta.

Ma la vera rivoluzione sociale avvenne negli anni ‘30 del ‘900, quando nei laboratori statunitensi della DuPont il chimico Wallace H. Carothers inventò il nylon. 

Era la prima fibra sintetica poliammidica a basso costo, “resistente come l’acciaio e delicata come una ragnatela”, come celebrava un popolare slogan di quegli anni.

A differenza di quanto avviene nelle fibre naturali, il cui diametro è sempre uguale, regolato dalla funzione biologica del baco da seta o dalla formazione dei peli nelle pecore, la nuova fibra poteva essere preparata con diametri variabili a piacere: si potevano ottenere fili sottilissimi adatti per la fabbricazione di calze da donna, o fili sempre più grossi adatti ad esempio alla produzione di reti.


La prima vendita di calze avvenne il 24 ottobre 1939 a Wilmington (USA) e fu accolta con un successo fenomenale, che superò di gran lunga tutte le aspettative dei produttori: 4.000 paia furono vendute in sole tre ore! E nel corso di quel primo anno di vendite il numero è salito a ben 64 milioni di paia solo negli Stati Uniti.

Un vero record, che evidenzia la portata epocale di questa invenzione: se fino a quel momento le calze in seta erano un privilegio riservato a poche, da quel giorno ogni donna poteva permettersi di acquistarne un paio. 

Durante la Seconda Guerra Mondiale quasi la totalità della produzione di nylon venne impiegata in attrezzature militari, per esempio per confezionare il tessuto dei paracadute, le corde per le navi o le divise dei soldati.

Le ormai famose calze in nylon erano diventate introvabili! Molte donne ricorsero però a un trucchetto per dare l’impressione di indossarle: disegnare una linea con la matita direttamente sul polpaccio per simularne la caratteristica cucitura sulla parte posteriore. Finita la guerra, ritrovare le calze di nylon nei negozi fu un segnale di un ritorno alla normalità: le dive di Hollywood mostravano quanto fossero belle le gambe se si indossavano quelle calze, che divennero così un accessorio irrinunciabile per le donne di tutto il mondo.


Dagli spazzolini da denti alle lenze per la pesca, dal catgut per suture chirurgiche all’abbigliamento tecnico, il nylon è diventato parte integrante della nostra vita quotidiana e continua ad esserlo ancora oggi: una scoperta che ha davvero rivoluzionato la società moderna. 

Nasce “Hi – Healthtech Innovation Hub” dall’Università Federico II di Napoli e Medtronic

healthcare

Promuovere l’innovazione e la crescita nel settore Healthcare in Italia per migliorare la salute delle nostre comunità e creare opportunità per i giovani e per le imprese

Nasce con quest’obiettivo HealthTech Innovation hub (HI), un polo dedicato allo sviluppo di Tecnologie per la salute presso il Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati (CeSMA) del Complesso Universitario San Giovanni a Teduccio.

Grazie alla collaborazione tra l’Università Federico II di Napoli e Medtronic Italia, azienda di riferimento nel campo dei servizi e delle tecnologie per la salute, prende il via una collaborazione che intende promuovere le competenze e le esperienze del territorio a livello nazionale e internazionale.

L’invecchiamento della popolazione e le malattie croniche causano, ormai da anni, un aumento dei costi sanitari, minando la capacità di fornire cure adeguate a milioni di persone. La pandemia Covid-19 ha accelerato tutte le trasformazioni in atto, ribadendo l’importanza della centralità della cura e dell’assistenza come temi chiave per lo sviluppo del Paese.

Per rispondere a queste sfide, HealthTech Innovation hub intende creare un ecosistema di conoscenza aperta e condivisa che includa i giovani neolaureati, i centri di ricerca, le imprese e il territorio con l’obiettivo di accelerare l’innovazione al servizio della salute delle comunità creando opportunità e occupazione.

Tra i primi progetti di HI, il Master Make Napoli | Medtronic Advanced Knowledge Experience, un percorso formativo destinato a studenti laureati in materia scientifiche ed economico sociali, residenti nel Sud Italia.

ll nuovo Master Make Napoli pone particolare attenzione all’area delle tecnologie per la salute ed è fortemente integrato con il contesto produttivo e industriale nazionale e internazionale.

Gli studenti potranno approfondire temi e contenuti di frontiera che la pandemia in corso ha reso ancor più attuali e fondamentali per la crescita del nostro Paese. Vogliamo così sviluppare le competenze necessarie per comprendere, interpretare e guidare il futuro post-Covid.

Il Master postuniversitario Make rappresenta il primo passo di un più ampio e ambizioso progetto del HealthTech Innovation hub che intende promuovere la collaborazione con altri attori già presenti all’interno del Campus.

“L’Ateneo Federico II aggiunge un nuovo tassello al suo palmares di iniziative di promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico a beneficio del tessuto industriale, economico e sociale del nostro Paese”, spiega Matteo Lorito, Rettore Università degli Studi di Napoli Federico II.

“Il nuovo Hub HI Healthtech Innovation Hub, in sinergia con un grande player di levatura internazionale come Medtronic, mira ad essere una fucina di nuove soluzioni tecnologiche in ambito Healthcare, per meglio coniugare un nuovo paradigma di prossimità dei percorsi terapeutici, di interesse strategico se relazionato al corrente scenario emergenziale.

L’iniziativa è pensata in ottica ‘Open Innovation’, per attrarre altre imprese che credono e vogliono investire nell’iniziativa, e per stimolare e promuovere, grazie anche ad azioni formative mirate, nuove idee imprenditoriali…… Napoli è uno dei quattro Laboratori italiani con Milano, Mirandola e Lecce per lo sviluppo, la connessione e la libera circolazione delle idee e del talento al servizio dell’innovazione biomedicale”.

“Come tutti gli eventi traumatici, la pandemia rappresenta un grande acceleratore di processi in atto”, dichiara Gaetano Manfredi, Ministro dell’Università e della Ricerca.

“Il Covid ha fatto emergere punti di forza e di debolezza dei vari sistemi e ha fatto capire a tutti che ci sono delle priorità, come quella di mettere al centro la competenza come motore economico e di benessere collettivo.

Il campo della medicina ben si presta a questa percezione da parte della società, tutti ne comprendono il valore”.

Dassault Systèmes lancia “Water for Life” per un consumo sostenibile dell’acqua

water for life dessault systemes

L’azienda supporterà i clienti nella misurazione e ottimizzazione della loro impronta idrica attraverso l’attività del 3DExperience Lab e una serie di programmi di formazione dedicati al consumo sostenibile dell’acqua

Dassault Systèmes conferma il suo supporto alle politiche ambientali con l’annuncio dell’iniziativa “Water for Life“, progetto che fa parte della campagna The Only Progress is Human lanciata dall’azienda, che punta a una maggiore consapevolezza delle sfide sociali e ambientali e a promuovere l’utilizzo dei mondi virtuali per approfondire queste tematiche e dar vita a innovazioni sostenibili per un futuro migliore.

Water for Life punta a sostenere gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, utilizzando in maniera più efficiente le risorse idriche. Il programma ruota attorno a tre punti: misurazione e ottimizzazione, innovazione e creazione, formazione. In primo luogo, l’azienda farà leva sulla piattaforma 3DExperience per accelerare la misurazione e l’ottimizzazione dell’impronta idrica delle aziende, fornendo ai clienti soluzioni industriali integrate in grado di raccogliere e rendere disponibili dati sul consumo di acqua associati alla propria attività, oltre all’impatto delle varie opzioni di progettazione. In futuro, raccomandazioni generate dall’intelligenza artificiale guideranno le aziende verso la creazione di nuovi prodotti, servizi ed esperienze sostenibili.

Dassault Systèmes sosterrà anche progetti di valutazione e riduzione dell’impatto idrico attraverso il 3DExperience Lab, il suo laboratorio di accelerazione e open innovation, che utilizza l’intelligenza collettiva per accelerare innovazioni quali ad esempio quella sviluppata da Eel Energy per trasformare i processi industriali nell’ottica di ridurre il consumo idrico. Infine, Dassault Systèmes darà vita a programmi formativi volti ad aumentare la consapevolezza delle principali problematiche legate al consumo di acqua, per sensibilizzare le generazioni future ad una corretta conservazione di questa risorsa preziosa, come il progetto francese Mission Ocean sostenuto dalla Fondazione Dassault Systèmes.

«Il mondo riconosce sempre più la necessità di preservare questo bene prezioso, l’acqua, avviando una nuova era di responsabilità e di sostenibilità.

L’industria gioca un ruolo molto importante in questo “Decennio d’Azione dell’ONU”», ha dichiarato Bernard Charlès, vice chairman and ceo di Dassault Systèmes. «Gli universi virtuali svolgono una funzione chiave per consentire ai nostri clienti di immaginare, progettare e testare i prodotti, i materiali e i processi di produzione affinché rispondano ai requisiti di sostenibilità dell’economia di domani. Attraverso nuove soluzioni industriali, possiamo diventare il partner numero uno al mondo per una rinascita più sostenibile dell’industria che soddisfi gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

«In qualità di esploratore professionista, ho potuto constatare in prima persona come le attività umane abbiano avuto un impatto diretto sullo stato della nostra Terra. È fondamentale per gli esseri umani prendersene cura e, ancor di più, preservare l’acqua, la nostra risorsa più preziosa», ha dichiarato Mike Horn, esploratore professionista e avventuriero che ha presentato il programma insieme al ceo di Dassault. «Sono felice che non solo l’Onu, le ong e i politici si impegnino a favore di questo obiettivo, ma anche che leader industriali come Bernard Charlès sottolineino l’importanza di questo tema chiave».

AZIENDE FARMACEUTICHE: gli investimenti nell’ultimo decennio arrivano al 97%

Le aziende farmaceutiche in Italia che nel 2011 investivano in ricerca e sviluppo, e in particolare nelle biotecnologie, 9 anni fa erano soltanto il 30%, ma negli anni a seguire la crescita è stata esponenziale

Appena 5 anni dopo, il numero di aziende farmaceutiche era già arrivato al 78% e 3 anni dopo lievitava del 24,4%, toccando quota 97%. In generale, le aziende del settore che hanno deciso di investire in ricerca e sviluppo in Italia erano 1.650 nel 2018 e 1.530 nel 2017. La crescita è stata progressiva: nel 2016 erano 1.470, nel 2015 erano 1.415 e nel 2012 se ne contavano 1.230 in tutta Italia.

Ricerca & Sviluppo

Gli investimenti in ricerca e sviluppo delle imprese a capitale italiano che fanno parte di Farmindustria hanno superato un miliardo di euro nel 2018. In questo elenco di aziende farmaceutiche ci sono Abiogen Pharma, Alfasigma, Angelini, Chiesi, Dompé, I.B.N. Savio, Italfarmaco, Kedrion, Mediolanum, Menarini, Molteni, Recordati e Zambon.

Tutte loro hanno aumentato gli investimenti in ricerca e sviluppo del 39% nel corso del 2018.

L’export invece ha toccato i 24,8 miliardi di euro nell’anno precedente, con una crescita del 106,9% negli ultimi 10 anni.

La percentuale di prodotti farmaceutici esportati dall’Italia nel 2018 è arrivata all’80%: 10 anni prima il dato era al 51%. Nel primo semestre del 2019, inoltre, l’export è aumentato del 28% in più rispetto allo stesso periodo del 2018.

Uno sguardo all’import italiano

Il nostro Paese importa 13,5 miliardi di euro di miscele di medicinali già dosate e 8 miliardi di euro in sangue umano e animale.

Sono le due voci più significative dell’import delle case farmaceutiche in Italia. Al terzo posto troviamo i prodotti farmaceutici, ma il valore dell’importazione crolla a 452,3 milioni di euro.

Seguono le miscele di medicinali non dosate (281,3 milioni di euro), medicazioni confezionate per uso medico (146,4 milioni di euro) e infine ghiandole ed estratti per un valore di 134,2 milioni di euro.

Complessivamente, nel primo semestre del 2019 l’import è cresciuto come l’export ma in misura ridotta, cioè del 10,5%.