Sull’onda della nuova Plastics Strategy varata dalla Commissione europea, dopo anni di quiescenza, si ricomincia a parlare di riciclo chimico
Appare infatti ormai assodato che il
riciclo meccanico, da solo, non è sufficiente per raggiungere gli ambiziosi
obiettivi posti da Bruxelles all’industria delle materie plastiche.
Riportando i rifiuti plastici al loro stato
originario, è possibile riutilizzare in ottica circolare anche i rifiuti eterogenei, multimateriale o
contenenti additivi che ne rendono poco conveniente il riciclo per via
meccanica.
Che si tratti di depolimerizzazione, pirolisi o
gassificazione, si possono ottenere materie prime rigenerate praticamente da
qualsiasi ammasso di rifiuto plastico, e
soprattutto senza degradazione delle caratteristiche fisico meccaniche del
manufatto finale che – entro certi limiti – può essere anche conforme al
contatto con gli alimenti.
BASF e
il “ChemCycling”
A credere nel riciclo chimico, tanto da avviare partnership a
valle con importanti produttori di imballaggi e componenti auto, è il gruppo
tedesco BASF, che ha lanciato il programma ChemCycling.
Si tratta di un processo basato sulla pirolisi
di rifiuti plastici eterogenei, difficili da trattare per via meccanica
(compresi espansi come l’EPS), trasformati in oli sintetici da
aggiungere in steam cracking per ottenere nuove materie prime, come
etilene o propilene, alternative a quelle fossili, con cui produrre nuovi
polimeri senza scadimento delle proprietà intrinseche.
A questo scopo il gruppo tedesco ha stretto
un’alleanza con Quantafuel, titolare di un processo integrato per la
pirolisi di rifiuti plastici e la successiva purificazione degli oli ottenuti.
Accordo sancito da un investimento di 20 milioni di euro, che BASF
ha iniettato nella società norvegese per accelerare lo sviluppo industriale del
processo, anche in vista di future attività di licensing. Quantafuel ha in
programma di avviare entro la fine di quest’anno, a Skive
(Danimarca), un impianto con capacità di 16.000 tonnellate annue.
Attraverso il processo di pirolisi
ChemCycling, BASF trasformerà rifiuti plastici eterogenei difficili da trattare
per via meccanica in oli sintetici per ottenere nuove materie prime via steam
cracking.
Come parte dell’accordo, BASF avrà il diritto
di prelazione su tutto l’olio di pirolisi e gli idrocarburi purificati prodotti
per un periodo minimo di quattro anni dall’avvio dell’unità.
Le materie prime così ottenute saranno utilizzate nel polo chimico di Ludwigshafen, dove il
gruppo ha sede ha sede, per ottenere nuove materie plastiche – contraddistinte
dal suffisso Ccycled – destinate ad applicazioni realizzate in collaborazione
con selezionati partner industriali.
Per passare dagli impianti pilota
all’industrializzazione del processo, oltre agli aspetti tecnologici ed
economici, vanno chiarite anche le questioni normative, come sottolinea Klaus Ries,
responsabile Styrenic Foams di BASF: «Il riciclo chimico
e il bilancio di massa devono essere
inseriti nel calcolo degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea e nelle metodologie di calcolo dei tassi di
riciclo il prima possibile, in quanto è l’unico modo per incrementare,
sensibilmente e in modo permanente, i volumi di riciclo senza sacrificare la
qualità».
Riflettori
puntati sul polistirene
Anche il gruppo
britannico Ineos è impegnato in
diversi progetti di riciclo
chimico,
con particolare attenzione al trattamento di rifiuti stirenici,
dove ha attivato partnership sia con altri produttori, sia con università e
centri di ricerca.
Nell’ambito del progetto ResolVe, ad esempio, collabora da due anni
con Neue Materialien e l’Università di Aachen al riciclo chimico di
rifiuti a base di polistirene. I primi risultati hanno confermato che è
possibile produrre nuovo polimero con la stessa qualità di quello vergine, partendo
da stirene ricavato da depolimerizzazione chimica. Ottenuto questo
risultato, i ricercatori si sono messi al
lavoro per ottimizzare la resa del processo e mitigare l’effetto dei
contaminanti, compresi altri polimeri presenti nei rifiuti di polistirene,
in particolar modo il PET (mentre sono tollerate percentuali
poliolefine fino al 10%).
Secondo Norbert Niessner, responsabile
R&D/Proprietà Intellettuale di Ineos Styrolution, si può tranquillamente
affermare che il polistirene può essere riciclato. «Anche grazie ai recenti
progressi nelle tecnologie di selezione dei rifiuti post-consumo, sono convinto
che non vi è più alcun motivo per non farlo» afferma.
Nell’ambito della piattaforma Styrenics
Circular Solutions, Trinseo, Ineos Styrolution e Agilyx hanno recentemente validato
la tecnologia per la depolimerizzazione di rifiuti da imballaggio di origine
stirenica e ora puntano a realizzare in Europa un impianto su scala
industriale con una capacità di trattamento fino a 50 tonnellate al giorno,
anche se non sono stati ancora forniti dettagli su località e tempistica del
progetto.
Ineos Styrolution supporta anche il progetto Plastics2Chemicals di Indaver,
società del gruppo Katoen Natie specializzata nella gestione e trattamento dei
rifiuti. L’obiettivo è avviare nel Porto di Anversa un impianto
dimostrativo per la depolimerizzazione di rifiuti plastici a base di
polistirene e poliolefine (previa separazione), con capacità di 15.000
tonnellate annue, che potrebbe entrare in funzione nella prima metà del 2021.
Ineos Styrolution potrebbe utilizzare lo stirene così ottenuto all’interno di
un suo impianto poco distante.
Infine, il gruppo
sta lavorando con la canadese GreenMantra nella sintesi di stirene monomero ottenuto dalla depolimerizzazione
termocatalitica di rifiuti post-consumo e sfridi di polistirene. Da questo
processo si ottengono due flussi distinti: il principale
è polistirene a basso peso molecolare, che ha possibili impieghi
negli additivi per inchiostri e coating, mentre quello secondario è costituito
da stirene monomero, dal quale ottenere nuovamente polistirene.
Tacoil
da rifiuti plastici
Riciclare
in closed-loop rifiuti plastici da imballaggio difficili o impossibili da
trattare per via meccanica è anche l’obiettivo del progetto avviato da Sabic, Unilever, Vinventions e Walki Group.
La tecnologia individuata dai partner è la conversione
termochimica in assenza di ossigeno (TAC, Thermal Anaerobic
Conversion) sviluppata dalla britannica Plastic Energy, dalla quale si
ottiene Tacoil, un olio sintetico che Sabic immetterà nell’impianto di Geelen (Olanda) per
ottenere materie plastiche che saranno fornite ai tre partner;
questi, a loro volta, utilizzeranno le resine per
produrre imballaggi destinati ad uso alimentare e non: Vinventions produrrà
tappi sintetici per vino e Walki beni di consumo. Nei piani di Sabic e Plastic
Energy c’è la costruzione di un impianto in Olanda, che potrebbe entrare in
marcia nel 2021.
Il processo TAC parte dal riscaldamento dei rifiuti
plastici in assenza di ossigeno (evitando
così la loro combustione), che provoca una rottura delle catene
polimeriche. Si ottiene così un vapore saturo di idrocarburi che, una
volta condensato, può alimentare un cracker al posto di materie prime fossili
per la sintesi di intermedi per la produzione di nuove materie plastiche,
mentre la frazione gassosa viene impiegata per produrre l’energia necessaria
agli impianti. Il processo è già stato testato con successo da Plastic
Energy in due impianti in Spagna, prima a Siviglia (2014), quindi ad Almeria
(2017) dove stanno operando in ciclo continuo.
Sabic ha introdotto in catalogo anche i primi gradi di compound e leghe a
base di PBT (LNP Elcrin iQ) ottenuto da depolimerizzazione di bottiglie e altri
rifiuti a base poliestere. Questa nuova serie comprende gradi rinforzati
con fibre di vetro e cariche minerali, formulazioni ritardanti di fiamma senza
alogeni e resistenti ai raggi UV, oltre a gradi suscettibili di ottenere la
conformità al contatto alimentare in base agli standard FDA.
In campo
anche Dow ed Eastman
Il gruppo chimico statunitense Dow si prepara
a introdurre sul mercato plastiche ottenute in parte da materie prime
provenienti da pirolisi di rifiuti plastici e, a questo scopo, ha
siglato un accordo con l’olandese Fuenix Ecogy per la fornitura di feedostck destinati
al polo di Terneuzen, nei Paesi Bassi.
Fuenix ha brevettato un processo di pirolisi capace di convertire materie
plastiche eterogenee da imballaggi in un olio che può sostituire alcune materie
prime (nafta, paraffine, LPG). L’azienda olandese sostiene che con
una tonnellata di rifiuti si possono ottenere circa 700 chilogrammi di polimero
rigenerato con le stesse caratteristiche di quello sintetizzato con materie
prime vergini, anche per uso alimentare. Questo progetto rientra nell’impegno
preso da Dow di incorporare almeno 100.000 tonnellate di plastiche riciclate
nei materiali destinati al mercato europeo entro il 2025.
Eastman si sta invece muovendo
nel riciclo chimico, mediante depolimerizzazione via metanolisi, dei rifiuti a
base poliestere di scarsa qualità, difficilmente recuperabili per via
meccanica e destinati quindi a essere avviati a discarica o all’incenerimento.
Il gruppo statunitense è impegnato in uno studio di fattibilità tecnica sulla
progettazione e costruzione di un impianto di metanolisi su scala industriale,
che potrebbe entrare in funzione entro 24-36 mesi dalla conclusione degli
accordi con partner della filiera interessati ad acquistare il materiale così
rigenerato.
Capitali
freschi per Loop Industries
Che il momento sia quello giusto, è dimostrato anche
dalla disponibilità di capitale di rischio per progetti industriali nel riciclo
chimico. Recentemente, la società di investimenti canadese Northern
Private Capital (NPC) del multimilionario John Risley, ha deciso
di investire 35 milioni di dollari per rilevare una quota del
10,5% di Loop Industries, la società che ha sviluppato un processo per il
riciclo chimico di rifiuti in PET, trasformati nelle materie prime di
partenza. Il nuovo azionista si è anche assicurato un’opzione, valida tre anni,
per l’acquisto di ulteriori quote, fino ad arrivare al 17,3% con un esborso
totale di 45 milioni di dollari. L’obiettivo è accelerare il passaggio su scala
industriale del processo, che vede Loop Industries alleata con la thailandese
Indorama Ventures nella costruzione del primo impianto di depolimerizzazione
negli Stati Uniti, il cui avvio è previsto nel 2020.
Ancora prima di mettere in marcia le capacità, Loop Industries ha
siglato accordi di fornitura pluriennale di rPET da riciclo chimico con colossi
quali PepsiCo, L’Oréal Group ed Evian, il marchio di acque minerali del
gruppo Danone. Alla fine dell’anno scorso, la società canadese ha anche
raggiunto un accordo con Thyssenkrupp al fine di combinare la
tecnologia di riciclo chimico di poliestere Loop con quella di
policondensazione in continuo MTR (Melt-To-Resin) di Uhde Inventa-Fischer
per produrre PET grado bottiglia partendo da rifiuti plastici
post-consumo.
Un
progetto nei film BOPET
Sul fronte della depolimerizzazione del PET, si
segnala anche il processo LuxCR proposto da DuPont Teijin Films.
L’obiettivo è trasformare i flakes di PET provenienti da sfridi o da
rifiuti nel monomero di partenza – BHET (bis-β-idrossietiltereftalato)
–, indistinguibile da quello vergine, da cui ottenere nuovo poliestere
destinato all’estrusione di film PET biorientato (BOPET) destinato
ad applicazioni di imballaggio, anche alimentare. Questa tecnologia è in
grado rimuovere eventuali contaminazioni attraverso una combinazione tra
filtrazione del polimero e del monomero ed estrazione mediante vuoto per alcune
ore con temperature tra 270 e 300 °C. Il gruppo statunitense sta valutando
altre applicazioni nell’ambito di etichette, pannelli solari, carte d’identità.