AVEVA: potenziare la nuova forza lavoro nell’industria chimica

AVEVA XR

L’industria chimica deve affrontare un passaggio generazionale della forza lavoro. Operatori e ingegneri esperti stanno per andare in pensione, e la necessità di trasferire la propria esperienza alle nuove generazioni è sempre più urgente

Gli Universal Studios in Giappone hanno aperto di recente il primo parco a tema Super Nintendo World: ora è possibile entrare nel Regno dei Funghi e vivere il mondo di Mario in prima persona. Ma questa non è di certo la prima esperienza di Mario in tre dimensioni. Il primo Mario in 3D risale al lontano 1996. Mario in 3D è ormai cresciuto abbastanza per smettere di giocare, e trovare forse un lavoro in uno stabilimento chimico.

Ma cosa avrebbe trovato il nostro eroe nel suo primo giorno di formazione? La sequenza di qualificazione dell’operatore lo avrebbe stimolato? Nella vita reale, gli operatori odierni sono cresciuti in ambienti 3D in ​​cui possono interagire, esplorare, commettere errori e poi riprovare. E si aspettano un’esperienza simile in un corso di formazione industriale.

L’industria chimica deve affrontare un passaggio generazionale della forza lavoro. Operatori ed ingegneri esperti stanno per andare in pensione, e la necessità di trasferire la propria esperienza alle nuove generazioni è sempre più urgente. Tuttavia, molte aziende chimiche si affidano a metodi di formazione che non coinvolgono per niente la nuova generazione.

AVEVA sviluppa software industriali che ispirano le persone a creare un futuro sostenibile. Nel mondo della formazione degli operatori, ciò significa incoraggiare le aziende del settore industria chimica a utilizzare una modalità di apprendimento coinvolgente ed esperienziale.

AVEVA™ XR for Training sfrutta l’investimento del Digital Twin di un’azienda, per immergere i tirocinanti in un ambiente 3D coinvolgente, che riflette lo stabilimento reale in tutto e per tutto. Con una connessione diretta a un Operator Training Simulator AVEVA ™, l’ambiente di formazione può persino imitare il comportamento dinamico del processo di un impianto chimico.

E poiché operare in sicurezza non è un gioco, AVEVA™ Unified Learning  fornisce un servizio unico ed integrato per accompagnare gli operatori attraverso l’intero ciclo di apprendimento – Learn, Practice, Assess, and Reinforce – monitorando l’impatto sull’efficienza operativa.

Proprio come il mondo 3D di Mario, molte di queste tecnologie esistono da un po’ di tempo. L’elemento innovativo è AVEVA ™ Connect, ossia la piattaforma cloud. Il software AVEVA nel cloud favorisce la resilienza aziendale per i nostri clienti; consentendo loro di ridurre i costi e scalare processi facilmente, rispondendo a condizioni economiche dinamiche e garantendo una crescita sostenibile.

Per una dimostrazione di come le soluzioni AVEVA possono essere applicate, guarda il nostro webinar in cui BASF illustra la sua strategia per la formazione di nuovi operatori, nonché l’uso appropriato e i vantaggi della formazione esperienziale, inclusi simulatori e realtà virtuale. {Link https://sw.aveva.com/it-it/train-operators-for-a-sustainable-chemicals-industry}

James Wade – Portfolio Marketing Manager

James si è laureato alla Carnegie Mellon University in Mechanical Engineering and Engineering and Public Policy, e ha successivamente conseguito un MBA presso la New York University. Dopo aver ricoperto diversi ruoli in aziende tecniche, lavora ora ad AVEVA come Portfolio Marketing Manager per Operator Training Simulator.

www.aveva.com

Industria chimica, un settore strategico per l’economia circolare

L’industria chimica è un settore indispensabile” – ha dichiarato Paolo Lamberti, “anche l’emergenza Covid-19 lo ha chiaramente dimostrato. Il Governo ne tenga conto nelle scelte imminenti per uscire dalla crisi”



Nel corso dell’Assemblea di Federchimica, Lamberti ha ricordato che sin dal primo lockdown, il settore non ha mai interrotto la produzione in quanto fornitore essenziale lungo le catene del valore (“una infrastruttura tecnologica”) ma anche produttore di manufatti di estrema necessità, che vanno dai gas medicinali – in particolare dall’ossigeno – ai disinfettanti, a tutte le materie prime per realizzare maschere, guanti, camici e visiere, che hanno iniziato a scarseggiare fin dall’inizio dell’emergenza. “Le nostre imprese – ha proseguito Lamberti – hanno moltiplicato gli sforzi di produzione e sostenuto concretamente la Protezione Civile Nazionale e alcune Regioni nel rintracciare questi prodotti e nel renderli disponibili laddove necessario”.

L’industria chimica in Italia, oltre 2.800 imprese che impiegano circa 112.000 addetti, con un valore della produzione pari a 55 miliardi di euro (e una quota di export del 56%) è il terzo produttore europeo e il dodicesimo al mondo

Il settore chiude il 2020 con una produzione in calo del 9%: un dato che, seppure in forte diminuzione, evidenzia una maggiore tenuta rispetto all’industria in generale. 

Pesa la contrazione senza precedenti dell’attività di numerosi settori clienti, che ha inevitabilmente condizionato anche la domanda di chimica.

La seconda ondata di contagi rischia di interrompere bruscamente il percorso di recupero intrapreso durante i mesi estivi e già nel quarto trimestre si intravedono alcuni segnali di indebolimento.


“Le prospettive per il 2021 rimangono estremamente incerte e non potremo certamente aspettarci un pieno recupero rispetto alle perdite registrate nel 2020. 
L’incertezza ostacola le decisioni di acquisto dei clienti, che si manifestano in modo molto frammentario e discontinuo. Di conseguenza, nel 2021 possiamo ipotizzare il ritorno a una moderata crescita della produzione chimica, intorno al 4%.


Nel corso della sua relazione, Lamberti ha sottolineato le solide prospettive occupazionali che l’industria può offrire. 

I giovani rappresentano il 20% dell’occupazione e quasi un addetto su quattro è laureato, a fronte di una media industriale di circa uno su dieci.



I contratti a tempo indeterminato sono la stragrande maggioranza (il 95%) e negli ultimi 4 anni il settore ha generato oltre 6.000 nuovi posti di lavoro e l’occupazione evidenzia una buona tenuta anche nel 2020: dunque – nonostante l’innalzamento dell’età pensionabile le criticità già evidenti a fine 2019 – le imprese chimiche stanno investendo nel capitale umano, anche per dotarsi di nuovi competenze in ambiti strategici quali la ricerca e la digitalizzazione.

“Come imprese chimiche – prosegue Lamberti – dobbiamo essere consapevoli che il nostro contributo alla ripresa sarà fondamentale, soprattutto per rendere possibile quella rivoluzione ambientale di cui tanto si parla. 


“Gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo, che impatteranno significativamente sui modelli di offerta e sui comportamenti di consumo, potranno essere conseguiti anche grazie alla forte e pervasiva spinta verso l’innovazione tecnologica che la Chimica è in grado di produrre.


Siamo il primo settore industriale per quota di brevetti ambientali, pari al 40% del totale. Abbiamo perciò un ruolo determinante nelle tecnologie per la gestione ambientale (emissioni inquinanti, rifiuti e suolo), la conservazione e disponibilità di acqua e la mitigazione del cambiamento climatico.   


“Senza dimenticare – prosegue Lamberti – lo sviluppo di competenze tecnologiche all’avanguardia, quali le fonti rinnovabili e le biotecnologie industriali, il riciclo chimico e la chimica da rifiuti, l’impegno nella progettazione sostenibile e circolare dei prodotti, lo sviluppo di tecnologie innovative per l’efficienza energetica degli edifici, per una mobilità ecosostenibile, per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo della CO2 e per l’idrogeno pulito.


“Proprio per il vasto e multiforme contributo di conoscenze che la Chimica è in grado di fornire, Federchimica crede fortemente nel cosiddetto approccio “One Health”, secondo il quale la salute umana, quella animale e la protezione dell’ambiente sono ambiti strettamente interconnessi, e la Ricerca deve e dovrà tenerne conto. 

“Ci aspettiamo – conclude Lamberti – che il cosiddetto Piano di Ripresa e Resilienza, superate le tante divisioni, abbia un forte orientamento industriale, per favorire richieste funzionali al rilancio. Chiediamo che si tenga conto delle esigenze dell’industria chimica, settore strategico, altamente specializzato, per sua natura portato al cambiamento e da sempre orientato alla centralità delle risorse umane, nonché in continuo miglioramento nel produrre in modo sostenibile e circolare”.

La trasmissione di coronavirus nell’aria: fenomeno “airborne”

virus nell'aria

Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili, come la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni meteorologiche

Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, sottolinea Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac

Uno studio multidisciplinare, condotto a maggio 2020, analizza le concentrazioni in atmosfera di SARS-CoV-2 a Venezia e Lecce, evidenziandone le implicazioni per la trasmissione airborne.

La ricerca, pubblicata su Environment International, è stata condotta da Cnr-Isac, Università Ca’ Foscari Venezia, Cnr-Isp e Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata

La rapida diffusione del Covid-19, e il suo generare focolai di differente intensità in diverse regioni dello stesso Paese, hanno sollevato importanti interrogativi sui meccanismi di trasmissione del virus e sul ruolo della trasmissione in aria (detta airborne) attraverso le goccioline respiratorie.

Mentre la trasmissione del SARS-CoV-2 per contatto (diretta o indiretta tramite superfici di contatto) è ampiamente accettata, la trasmissione airborne è invece ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.


Grazie ad uno studio multidisciplinare, condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Lecce, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dall’Istituto di scienze polari del Cnr (Cnr-Isp) di Venezia e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (Izspb), sono state analizzate le concentrazioni e le distribuzioni dimensionali delle particelle virali nell’aria esterna raccolte simultaneamente, durante la pandemia, in Veneto e Puglia nel mese di maggio 2020, tra la fine del lockdown e la ripresa delle attività.

La ricerca, avviata grazie al progetto “AIR-CoV (Evaluation of the concentration and size distribution of SARS-CoV-2 in air in outdoor environments) e pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, ha evidenziato una bassa probabilità di trasmissione airbone del contagio all’esterno se non nelle zone di assembramento.
“Il nostro studio ha preso in esame due città a diverso impatto di diffusione: Venezia-Mestre e Lecce, collocate in due parti del Paese (nord e sud Italia) caratterizzate da tassi di diffusione del COVID-19 molto diversi nella prima fase della pandemia”, spiega Daniele Contini, ricercatore Cnr-Isac.

Durante la prima fase della pandemia, la diffusione del SARS-CoV-2 è stata eccezionalmente grave nella regione Veneto, con un massimo di casi attivi (cioè individui infetti) di 10.800 al 16 aprile 2020 (circa il 10% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,9 milioni. Invece, la regione Puglia ha raggiunto il massimo dei casi attivi il 3 maggio 2020 con 2.955 casi (3% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,0 milioni di persone.

All’inizio del periodo di misura (13 maggio 2020), le regioni Veneto e Puglia erano interessate, rispettivamente, da 5.020 e 2.322 casi attivi.

“Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili quali la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni meteorologiche. Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, sottolinea Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac.

La potenziale esistenza del virus SARS-CoV-2 nei campioni di aerosol analizzati è stata determinata raccogliendo il particolato atmosferico di diverse dimensioni dalla nano-particelle al PM10 e determinando la presenza del materiale genetico (RNA) del SARS-CoV-2 con tecniche di diagnostica di laboratorio avanzate.

SENSORYLAB, l’analisi sensoriale nel laboratorio moderno

sensory lab

SensoryLab è il nuovo laboratorio di analisi sensoriale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, inaugurato non molto tempo fà, nell’ambito del convegno dell’International Academy of Sensory Analysis

Utile agli studenti per sperimentare le principali tecniche di valutazione sensoriale applicate, è una struttura a disposizione delle aziende che intendono studiare, con metodi scientifici, le proprietà sensoriali dei propri prodotti, ottenendo importanti elementi di giudizio.

Progettare un laboratorio di analisi sensoriale implica la conoscenza e la capacità di descrivere correttamente gli stimoli sensoriali che, fondamentalmente, si sovrappongono durante il processo di analisi.

Per il soggetto (solitamente un partecipante al panel test) che riceve impressioni simultanee, infatti, è difficile, se non impossibile, fornire valutazioni indipendenti e oggettive a ciascuno stimolo che percepisce, qualora non sia posto in condizioni adeguate.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che gli strumenti di valutazione non sono solamente gli organi di senso, ma anche, e soprattutto, la “testa”, intesa come l’insieme di emozioni, ricordi, esperienze vissute e modelli elaborati a livello mentale che gli psicologi chiamano “cornice di riferimento”.

SensoryLab nasce non solo nel rigoroso rispetto della norma ISO 8589 (2007) Sensory analysis – General guidance for the design of test rooms”, ma appoggia la sua realizzazione tenendo in forte considerazione gli sviluppi di questi ultimi anni.

La ricerca ha portato alla luce che non basta più soltanto avere un locale con cabine individuali e un locale attiguo di preparazione dotato di strumenti e attrezzature idonei, o possedere adeguate conoscenze statistiche.

Occorre soprattutto che i test sensoriali sappiano valutare la risposta personale in termini di preferenza e accettabilità del soggetto coinvolto, inserendolo in locali confortevoli e vicini alle circostanze di consumo del prodotto, ove il medesimo soggetto possa confrontarsi, discutere, partecipare al processo decisionale che lo porta a esprimere un giudizio in tutta la sua componente psicologica e affettiva. Per tale ragione, oggi, non è sufficiente progettare un laboratorio “a norma ISO”, ma occorre considerare e includere tutti quegli elementi che supportano il soggetto nella sua interazione più olistica con il cibo, così da porlo nelle condizioni più vicine al consumo reale senza, tuttavia, esporlo agli elementi d’interferenza che ne precluderebbero una valutazione oggettiva e riproducibile. Importanti, dunque, risultano le postazioni di assaggio che devono rappresentare l’ambiente più idoneo per consentire la concentrazione del giudice.

La scelta fatta per le 20 postazioni fisse (19 + 1 per disabili) del SensoryLab è stata ben meditata e ponderata. Innanzitutto, queste hanno divisori alti soltanto 45 cm e sono disposte su due file parallele con ampio passaggio tra esse. In questo modo il panel leader, oltre a interagire direttamente con i giudici, ha anche facile accesso al locale di preparazione, situato nella stanza attigua e con accesso diretto alla sala, senza consentire il passaggio o la vista ai giudici.

Ogni cabina è dotata di un passavivande, per agevolare il passaggio dei campioni, di un ampio piano di appoggio e di tablet individuali, provvisti di software innovativo per l’elaborazione dei dati.

Parte integrante del SensoryLab è, infine, l’impianto di pressurizzazione dell’aria e quello d’illuminazione.

Quest’ultimo, infatti, oltre alle plafoniere standard è costituito da un doppio binario, sopra le due file di cabine, che consente di creare diversi giochi di luce: oltre alla luce monocromatica (naturale, calda e fredda), infatti, è anche possibile avere la luce colorata (rossa, verde e blu) a varie intensità luminose.

SensoryLab nascendo all’interno dell’Università, costituisce un supporto didattico non solo agli insegnamenti di “Analisi sensoriale degli alimenti” afferenti ai diversi percorsi formativi, ma consente di svolgere corsi di formazione e di aggiornamento per professionisti e per esperti aziendali. Dal punto di vista industriale, l’attività di SensoryLab abbraccia un’area di ricerca multidisciplinare e trasversale molto ampia della vita di un’azienda: dall’ufficio acquisti, alla ricerca e sviluppo, al controllo qualità, fino al marketing.

Questa consapevolezza riveste un’importanza sempre più crescente per gli imprenditori: le decisioni riguardanti quale cibo comperare e consumare sono complesse e influenzate da numerosi fattori, non solo sensoriali, quali il prezzo, il processo, la salubrità, il valore del marchio. Questi fattori devono essere investigati congiuntamente per fornire alle aziende strumenti decisionali sempre più efficaci. Ancor più se si pensa alla nascita di un nuovo prodotto, al suo lancio e, soprattutto, al suo mantenimento sul mercato, tutte le varie funzioni e uffici aziendali devono essere coinvolte in base al loro ruolo, per contribuire al progetto comune.

A cominciare dall’ambito della R&D, l’attività di SersoryLab diviene un elemento imprescindibile per valutare i prototipi, rilevarne le differenze, definire il profilo sensoriale, tracciare il decadimento qualitativo e studiare l’impiego di materie prime o ingredienti diversi. Da quello che si definisce profilo sensoriale di base, ossia il profilo standard che tiene conto della variabilità della produzione e delimita il “range” di accettabilità, deriva una serie di applicazioni utili su più fronti: dalle attività periodiche di controllo agli studi di shelf-life, fino alle nuove ricettazioni con cambio d’ingredienti o di parametri tecnologici.

Tutto questo per evitare scostamenti dal profilo base del prodotto, per ridurre il rischio di mercato associato al lancio dei nuovi prodotti o al miglioramento degli esistenti, per lo studio dei principali competitor presenti sul mercato, aspetto, quest’ultimo, che rappresenta una delle sfide più importanti. Offre, inoltre, indicazioni adeguate sulla strategia comunicativa utile per raggiungere un determinato target di clientela, evitando quelle perdite che derivano da una concezione troppo generica del prodotto. Il giudizio, in molti casi, è influenzato da una serie di fattori esterni e interni al soggetto e la qualità e la tipologia delle informazioni a disposizione rivestono, pertanto, un ruolo fondamentale nel processo di elaborazione della decisione d’acquisto.

L’analisi sensoriale permette di ottenere informazioni molto interessanti sul profilo del consumatore, coadiuvando il processo di posizionamento del prodotto e riducendo il gap tra posizionamento ideale dell’azienda e quello reale all’interno del mercato.

SensoryLab può aiutare le aziende a capire chi sia il consumatore finale e quale sia la percezione che esso ha del loro prodotto o del marchio, consapevoli che la percezione degli attributi di un prodotto può variare con il profilo del consumatore.

Concludendo, non va dimenticato che l’analisi sensoriale è una tecnica in grado di accertare non solo la qualità ma anche la tipicità di un prodotto agroalimentare, le cui caratteristiche derivano dalle peculiari condizioni dell’agroecosistema in cui si è sviluppato o dalle tecnologie con cui è stato prodotto. A differenza delle usuali analisi chimiche e microbiologiche che consentono prevalentemente di stabilire la salubrità, o il valore nutrizionale di un alimento, SensoryLab caratterizza il profilo del prodotto, ne evidenzia l’accettabilità da parte del consumatore e suggerisce gli interventi tecnologici atti a rendere il prodotto più gradito.

Fonte: DiSTAS, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile – Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza –  milena.lambri@unicatt.it

Lo smartworking assicura la business continuity

SMART-WORKING

Fabrizio Scovenna, Country Director Italian Region, Rockwell Automation e Marco Taisch, docente ordinario del Politecnico di Milano e Presidente MADE Competence Center I4.0., hanno fatto il punto sulla nuova normalità post pandemia, in particolare sullo smart working

Il nostro paese si è sempre caratterizzato per una lentezza nell’adozione di innovazioni rispetto ad altri paesi con i quali siamo abituati a confrontarci, come ad esempio lo smartworking o “lavoro agile”. Ciò si deve in buona parte alla composizione del nostro substrato industriale, costituito in gran parte da piccole media imprese, nelle quali il cambiamento è naturalmente più rallentato rispetto alle grandi che hanno più budget e know-how.

Diciamo che l’emergenza sanitaria ci ha costretto a usare le tecnologie e che per utilizzarle abbiamo dovuto, anche se in modo empirico, ampliare le nostre conoscenze, superando una serie di preconcetti. Prendiamo lo smart working che prima era guardato con sospetto e che oggi ha dimostrato essere strumento di maggior produttività personale. Con risultati alla mano molte aziende stanno pensando di ridurre gli spazi fisici perché hanno constatato che la business continuity è garantita anche con il lavoro da remoto. Anzi, l’efficienza risulta incrementata grazie a un’ottimizzazione dei tempi di spostamento, con conseguente  riduzione di costi, tanto che, oggi che si potrebbe anche fare diversamente, vengono generalmente accettate se non addirittura privilegiate le riunioni virtuali rispetto a quelle fisiche. Non mi sembra un cambiamento da poco.”

“E se vogliamo dirla tutta, se prima lo smartworking era utilizzato esclusivamente per l’attività di ufficio/amministrativa oggi proprio a seguito del lockdown questa modalità di lavoro ha dimostrato di essere perfettamente efficace anche quando applicata in fabbrica.

Certamente non nella sua globalità perché se si deve caricare manualmente una macchina la presenza di un operatore in loco è indispensabile.

Tuttavia, anche a livello di linea di produzione ci sono una serie di attività che possono essere svolte a distanza, con questo si intende anche un ufficio collocato a dieci metri dalla linea dal quale è possibile monitorare e interagire con tutti gli altri operatori e tutto ciò nel rispetto delle nuove normative.

Alla luce del nostro vissuto emerge anche che la tecnologia è una condizione sine qua non per poter continuare ad operare.

Se tutti le usano e io non lo faccio resto al di fuori del mercato. Non è più solo un problema di competitività ma di esistenza stessa.”

La digitalizzazione come scelta indispensabile

Fabrizio Scovenna afferma anche quanto gli avvenimenti di quest’anno (che si stanno riproponendo), hanno cercato di mettere in luce come la tecnologia abbia rivestito un ruolo fondamentale permettendo alle aziende più innovative di far fronte a scenari imprevisti e totalmente inediti, così’ come la digitalizzazione rappresenti oggi per loro una scelta indispensabile sia per la ripartenza che per cogliere tutte le opportunità che ogni situazione disruptive porta con sé.

Le aziende si stanno infatti rendendo conto che IIoT e digitalizzazione non rappresentano più un’opzione, ma una necessità. 

Il ruolo abilitante delle tecnologie si è rivelato indispensabile nel momento in cui la  quasi totalità della produttività dell’intero Paese è stata affidata allo smartworking e le aziende si sono trovate nella necessità di dover mutare i propri processi a fronte di questa emergenza. 

Certamente dovremo muoverci sempre più verso un’organizzazione del lavoro per obiettivi, garantire le opportune tecnologie e risorse infrastrutturali, evitando il “digital divide”, passare dalla logica del controllo a quella della responsabilità.

Occorre capitalizzare quanto imparato da questo shock e prevedere un diverso tipo di leadership, più trasparente e partecipativa, il lavoro di team sarà fondamentale in una organizzazione pervasa da concetti e culture che premino e incoraggino la solidarietà, la fiducia e la responsabilità. Serviranno filiere e processi più snelli per garantire una rapidità decisionale. Premiare e sfruttare la creatività e la flessibilità. 

Una crisi presenta sempre una componente di rischio e di opportunità

Marco Taisch: “Di base io sono un ottimista e quindi voglio subito iniziare con una nota positiva, questa ripartenza offre di sicuro delle grandi opportunità.  Se guardiamo al passato vediamo che puntualmente ogni crisi profonda che attraversa la storia dell’umanità, porta nuove chance o introduce nuovi modelli di business. Pensiamo alla seconda guerra mondiale che ha certamente costituito un incredibile elemento di disruption, portando a un significativo incremento della presenza delle donne nel mondo del lavoro e assegnando loro il fondamentale ruolo di motore di un’economia che doveva continuare a girare. Oppure, senza allontanarci troppo, pensiamo a come l’epidemia SARS abbia di fatto accelerato il consolidamento dell’e-commerce con il successo della piattaforma Alibaba e quindi di Amazon”.

Ciò che è necessario fare è fermarsi a riflettere sulle lezioni che abbiamo appreso e capire come sfruttare al meglio gli asset a nostra disposizione, quali innovazione tecnologica, know-how e risorse umane oggi arricchiti della conoscenza diretta e pratica delle tecnologie, sperimentata durante la quarantena e che ci ha permesso di superare la nostra diffidenza nei confronti del nuovo e dell’ignoto. Ciò fornisce lo spunto, ad esempio, per un nuovo modello di vendita della tecnologia.

La strategia della conoscenza diretta apre la strada a nuove modalità di proposizione al cliente che, prima di acquistare, vuole capire e per capire deve letteralmente provare a utilizzare. 

Economia circolare: sostenibilità e simbiosi industriale

simbiosi industriale e economia circolare

L’economia circolare rappresenta un modello economico in cui il valore dei materiali viene il più possibile mantenuto o recuperato e dove gli scarti sono ridotti al minimo. E’ stato valutato inoltre che se le industrie europee riuscissero a implementare un sistema produttivo di tipo circolare, si potrebbe realizzare un risparmio complessivo di quasi 500 miliardi di euro l’anno

Sempre più spesso viene individuato come un approccio indispensabile ad ottenere migliori performance in termini di sostenibilità.

A un esame più approfondito, però, dal punto di vista accademico il legame tra economia circolare e sostenibilità rimane ancora sfuggente.

Per questo Cercis (Centro per la ricerca sull’economia circolare, l’innovazione e le Pmi) e il Centro di ricerca interuniversitario Seeds (Sustainability, environmental economics and dynamics studies) hanno organizzando un whorkshop per passare dalla teoria alla pratica.

Il workshop “Making the Circular Economy work for Sustainability: From theory to practice”, ha avuto come partecipanti  studenti, studiosi, professionisti e stakeholder che hanno interesse all’economia circolare.

L’obiettivo è stato quello di stimolare il dibattito sui quei meccanismi che consentono di stabilire un legame effettivo tra economia circolare e sostenibilità, caratterizzandone con più precisione la natura. Si tratta di un dibattito fondamentale per acquisire una conoscenza più approfondita di come i responsabili politici possano utilizzare al meglio l’economia circolare per promuovere la sostenibilità, e verrà esplorato sotto molteplici aspetti.

Durante il workshop è stato presentato il Rapporto di sostenibilità 2020 realizzato dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), cui hanno contribuito anche i membri di Seeds, per poi proseguire con un ampio ventaglio di tematiche: i dividendi economici, gli impatti ambientali e le ricadute sociali dell’economia circolare, passando dal ruolo di famiglie e imprese in questo contesto all’approccio politico necessario per veicolare la sostenibilità.

Verso un’economia circolare nella UE: la simbiosi industriale

Nell’ambito della strategia Europa 2020, l’UE ritiene che la transizione verso un’economia circolare sia di fondamentale importanza per il raggiungimento di una maggiore efficienza complessiva delle risorse.

Ciò rappresenta uno dei principali volani della competitività delle imprese europee, tenuto conto dell’alta incidenza che le materie prime hanno sui costi complessivi dell’industria manifatturiera; al riguardo si ritiene che, nel vecchio continente, tale incidenza si aggiri mediamente attorno al 40% e che possa raggiungere il 50% se si sommano anche i costi per l’energia e l’acqua.

E’ stato valutato, infatti, che se le industrie europee riuscissero a implementare un sistema produttivo di tipo circolare si potrebbe realizzare un risparmio complessivo di quasi 500 miliardi di euro l’anno, cui si ricollegherebbe una minore necessità di input materiali (riduzione del 17%-24% entro il 2030) e un incremento del Pil della UE prossimo al 4%.

Mentre in un’economia lineare si configura un sistema economico in cui le risorse naturali sono utilizzate come input nei processi di produzione e di consumo, per poi essere reimmesse, in parte, nell’ambiente come rifiuti, in un’economia circolare i processi di produzione e di consumo devono essere in grado di riutilizzare, riparare, riciclare e rimettere a nuovo i materiali e i prodotti esistenti, al fine di limitare al minimo l’utilizzo di nuove risorse naturali.

Sistema Economico Circolare

Per realizzare gli obiettivi proposti per il 2030, bisogna agire da subito per accelerare la transizione verso un’economia circolare e sfruttare le opportunità commerciali e occupazionali che offre”. Nell’ultimo periodo, l’UE ha presentato numerose iniziative per la transizione verso questo nuovo paradigma e, nella sua strategia per passare a un’economia circolare a rifiuti zero, ha individuato diversi strumenti fra i quali vi è quello di favorire l’implementazione di percorsi di simbiosi industriale.
La simbiosi industriale è una branca di un nuovo campo di studi interdisciplinare, denominato, ecologia industriale. Considerata come la scienza della sostenibilità, l’ecologia industriale trova le sue origini nel 1989, anno in cui Frosh e Gallopoulos con l’articolo Strategies for Manufacturing, affermano che “il modello tradizionale di attività industriale – in cui i singoli processi produttivi prelevano materie prime e generano prodotti da vendere più rifiuti da smaltire – deve essere trasformato in un modello più integrato: un ecosistema industriale”.

All’interno dell’ecologia industriale, la simbiosi industriale indaga le relazioni esistenti tra i sistemi industriali e il loro ambiente naturale. In particolare, con il termine simbiosi industriale si identificano gli scambi di risorse tra due o più industrie dissimili, intendendo con risorse non solo quelle materiali (sottoprodotti o rifiuti), ma anche energia termica di scarto, servizi, competenze.

Si tratta cioè di una strategia per la chiusura dei cicli delle risorse e l´ottimizzazione del loro uso all’interno di uno specifico ambito economico territoriale attraverso la collaborazione tra le diverse imprese basata sulle possibilità sinergiche offerte dalla loro prossimità geografica/economica. I principali mezzi con cui si realizza la simbiosi tra imprese sono:

  • la condivisione di utility e infrastrutture per l’utilizzo e la gestione di risorse, come il vapore, l’energia, l’acqua e i reflui;
  • la fornitura congiunta di servizi per soddisfare bisogni accessori comuni alle imprese connessi alla sicurezza, all’igiene, ai trasporti e alla gestione dei rifiuti;
  • l’utilizzo di materiali tradizionalmente intesi come scarti o sottoprodotti in sostituzione di prodotti commerciali o materie prime.

In analogia a quanto avviene negli ecosistemi, attraverso la riduzione dei rifiuti alla fonte e la creazione di legami di chiusura dei cicli, la simbiosi industriale cerca di disegnare un sistema industriale caratterizzato da rapporti di interdipendenza funzionale in cui i prodotti di scarto di una linea di lavoro diventano un prezioso input per le altre linee. In questo modo, si viene a configurare un sistema produttivo circolare, in cui scompare il tradizionale concetto di rifiuto, poiché “i materiali oggetto di scambio… non sono mai rifiuti in nessun momento della loro esistenza, ma sempre beni economici”.

LAB&CHEMICAL WEB EDITION 2020 Evento Digitale – Mercoledì 14 ottobre 2020, dalle 14.30 alle 16.30

lab e chemical web edition 2020

PER PARTECIPARE GRATUITAMENTE ALL’EVENTO DIGITALE, FATE LA VOSTRA PRE-REGISTRAZIONE, SCRIVENDO I VOSTRI DATI ALL’INDIRIZZO MAIL: promozione@progettoindustria.com  ATTENZIONE: IL GIORNO PRIMA DELL’EVENTO AI PARTECIPANTI VERRA’ INVIATO UN LINK VIA MAIL, PER COLLEGARSI

L’Evento digitale si svolgerà on line attraverso la presentazione mirata e la condivisione in networking su piattaforma ZOOM, registrazione e diffusione anche tramite il canale YouTube dedicato, il portale www.progettoindustria.com e i profili social, in particolare Linkedin.

Nel panorama del mercato italiano, l’industria chimica-farmaceutica (e tutto il relativo indotto) è tra quelle che meno hanno risentito del blocco forzato causato dall’emergenza Covid-19, tenendo forte la presa sui numeri di fatturato e produzione e assicurando così un’efficiente continuità operativa, essendo tra le imprese considerate essenziali.

In questo processo di “nuova normalità” l’evoluzione digitale e tecnologica riveste un ruolo di sempre maggiore importanza.

www.progettoindustria.com desidera dare risalto al settore della chimica e farmaceutica e del laboratorio di analisi/analisi di processo, in tutte le sue declinazioni e applicazioni.

Per questo, abbiamo deciso di organizzare

“SPECIALE LAB&CHEMICAL WEB EDITION 2020”https://www.progettoindustria.com

Si parlerà di temi attuali e interessanti nell’ambito chimico-farmaceutico e in primo piano saranno:

Chimica – Farmaceutica – Laboratorio  – Cleaning Room – LIMS  – Ricerca/Life Sciences – CLP – REACH – Affari Regolatori – Arredi e Cappe  – Prodotti e Reagenti – Biotecnologie e Nanotecnologie – Strumentazione e Tecnologie – Bioprocessing Equipment – Biosicurezza e biocontenimento – Crioconservazione

PROGRAMMA EVENTO DIGITALE

FARMAFFARI – SVIMM – Prof. Mariano Marotta – Introduzione e Panoramica del settore

ANGELANTONI LIFE SCIENCE (laboratorio) www.angelantonilifescience.it

TESTO (cleaning room) – l’importanza degli strumenti di misura nelle applicazioni R&D, laboratorio e camere bianche con un focus su strumento multifunzione Testo 400 che misura con precisione velocità e portata dell’aria nelle cappe da laboratoriowww.testo.it

POLISYSTEM INFORMATICA (LIMS e software da laboratorio) – “”ActiveLIMS” : il nuovo Smart Web LIMS per il Laboratorio Farmaceutico di Polisystem Informatica”.www.polinfo.it

BIOREP (biobanche/crioconservazione/biotech) www.biorep.it

NORMACHEM Reach, CLP, Affari Regolatori www.normochem.it

Tecnova HT al servizio di pharma e biotecnologie

catalogo tecnova ht

Tamara Murusidze, ingegnere responsabile della B.U. Analisi Liquidi del gruppo Tecnova HT, affermata società nell’automazione di processo, racconta l’azienda e le recenti novità

Tecnova nasce nel 1974 grazie a una intuizione dei fratelli Cavalli, Antonio e Luciano. In quegli anni la società si occupa della distribuzione in tutta Italia di prodotti specifici, tra i quali misuratori di portata a turbina e PD meters. Successivamente, nel 1994 Tecnova ha una nuova Direzione che, alla tradizionale strumentazione da campo, affianca l’Integrazione di sistemi iniziando così a realizzare centinaia di sistemi analitici per fase gas e liquida, sia per le emissioni che per il processo.

http://www.tecnovaht.it

Negli anni 2000 a Tecnova HT si aggiunge Tecnova Service, composta solo da tecnici esperti per tutte le attività in campo, come manutenzione a chiamata e a contratto, calibrazione e validazione della strumentazione e dei sistemi installati

Nel 2010 il Gruppo Tecnova  si trasferisce nella sede di Pregnana Milanese. Nel 2019 un passo importante porta a una joint venture paritetica con il Gruppo Nanfen di Nanchino (Cina) per la commercializzazione e la manutenzione del sistema CEMS Type Approved per applicazioni navali denominato S-Keeper 7, vero capolavoro dell’ingegneria del gruppo.

Numeroso sono le soluzioni e i servizi che Tecnova HT offre al settore farmaceutico e delle biotecnologie.

La tecnologia rifrattometrica per l’analisi della concentrazione nella produzione di API, per esempio, ha riscosso grande successo da parte dei principali operatori di questo settore.

Nella fase di downstream, ovvero di separazione liquido-solido del principio attivo, viene utilizzata spesso la fotometria NIR, così come nella fase successiva di purificazione del prodotto vengono utilizzate fotometria UVfotometria visiva, quindi misure di assorbanza ottica

Mentre la preparazione di resine e fluidi biocompatibili è tenuta sotto controllo in continuo senza campionamenti e senza sprecare prodotto costoso grazie a viscosimetri supercompatti”.

La divisione analisi liquidi processo, di cui si occupa in particolare l’ing. Murusidze, è uno dei fiori all’occhiello di Tecnova HT. Si basa infatti su strumentazione per l’analisi in continuo progettata da società monoprodotto, affermate a livello mondiale, che investono molto nel campo della Ricerca e Sviluppo proprio per migliorare le performance analitiche in termini di accuratezza e ripetibilità, ma anche per semplificare l’installazione e la configurazione di ogni singolo strumento, ovviamente tutto a vantaggio del cliente finale.

Tecnova HT offre dunque alla sua clientela la possibilità di testare un’esperienza che va ben oltre la classica vendita, si tratta infatti di un ciclo completo di attività che va da un primo studio di fattibilità del progetto, passando per il site survey, arrivando quindi alla cura della strumentazione installata grazie al supporto del partner di fiducia Tecnova Service.

Una tra le ultime interessanti applicazioni di problem solving effettuata da Tecnova, riguarda una società chimica di polimeri fluorurati per la quale è stato realizzato uno strumento per la misura di concentrazione di fluoro in fase gas. Si tratta di un’applicazione molto importante e delicata poiché il fluoro è un gas davvero molto tossico.

Impiegando un fotometro Optek Tecnova ha risolto il problema al cliente con dei costi d’installazione e ownership veramenre ridotti. La prima installazione è avvenuta nel 2017, ad oggi l’azienda prosegue a equipaggiare numerose linee dello stabilimento con le proprie soluzioni, consentendo così al cliente di avere il controllo di processo e ottimizzare in continuo il processo produttivo. 

La “personalizzazione” offerta da Tecnova HT nel fornire specifiche soluzioni studiate apposta per specifiche esigenze dei clienti, oltre ad avere la tecnologia giusta e le competenze, la rende un partner affidabile e altamente performante.

Tecnova nasce nel 1974 grazie a una intuizione dei fratelli Cavalli, Antonio e Luciano. In quegli anni la società si occupa della distribuzione in tutta Italia di prodotti specifici, tra i quali misuratori di portata a turbina e PD meters. Successivamente, nel 1994 Tecnova ha una nuova Direzione che, alla tradizionale strumentazione da campo, affianca l’Integrazione di sistemi iniziando così a realizzare centinaia di sistemi analitici per fase gas e liquida, sia per le emissioni che per il processo.

Negli anni 2000 a Tecnova HT si aggiunge Tecnova Service, composta solo da tecnici esperti per tutte le attività in campo, come manutenzione a chiamata e a contratto, calibrazione e validazione della strumentazione e dei sistemi installati

Nel 2010 il Gruppo Tecnova  si trasferisce nella sede di Pregnana Milanese. Nel 2019 un passo importante porta a una joint venture paritetica con il Gruppo Nanfen di Nanchino (Cina) per la commercializzazione e la manutenzione del sistema CEMS Type Approved per applicazioni navali denominato S-Keeper 7, vero capolavoro dell’ingegneria del gruppo.

Numeroso sono le soluzioni e i servizi che Tecnova HT offre al settore farmaceutico e delle biotecnologie.

La tecnologia rifrattometrica per l’analisi della concentrazione nella produzione di API, per esempio, ha riscosso grande successo da parte dei principali operatori di questo settore.

Nella fase di downstream, ovvero di separazione liquido-solido del principio attivo, viene utilizzata spesso la fotometria NIR, così come nella fase successiva di purificazione del prodotto vengono utilizzate fotometria UVfotometria visiva, quindi misure di assorbanza ottica

Mentre la preparazione di resine e fluidi biocompatibili è tenuta sotto controllo in continuo senza campionamenti e senza sprecare prodotto costoso grazie a viscosimetri supercompatti”.

La divisione analisi liquidi processo, di cui si occupa in particolare l’ing. Murusidze, è uno dei fiori all’occhiello di Tecnova HT. Si basa infatti su strumentazione per l’analisi in continuo progettata da società monoprodotto, affermate a livello mondiale, che investono molto nel campo della Ricerca e Sviluppo proprio per migliorare le performance analitiche in termini di accuratezza e ripetibilità, ma anche per semplificare l’installazione e la configurazione di ogni singolo strumento, ovviamente tutto a vantaggio del cliente finale.

Tecnova HT offre dunque alla sua clientela la possibilità di testare un’esperienza che va ben oltre la classica vendita, si tratta infatti di un ciclo completo di attività che va da un primo studio di fattibilità del progetto, passando per il site survey, arrivando quindi alla cura della strumentazione installata grazie al supporto del partner di fiducia Tecnova Service.

Una tra le ultime interessanti applicazioni di problem solving effettuata da Tecnova, riguarda una società chimica di polimeri fluorurati per la quale è stato realizzato uno strumento per la misura di concentrazione di fluoro in fase gas. Si tratta di un’applicazione molto importante e delicata poiché il fluoro è un gas davvero molto tossico.

Impiegando un fotometro Optek Tecnova ha risolto il problema al cliente con dei costi d’installazione e ownership veramenre ridotti. La prima installazione è avvenuta nel 2017, ad oggi l’azienda prosegue a equipaggiare numerose linee dello stabilimento con le proprie soluzioni, consentendo così al cliente di avere il controllo di processo e ottimizzare in continuo il processo produttivo. 

La “personalizzazione” offerta da Tecnova HT nel fornire specifiche soluzioni studiate apposta per specifiche esigenze dei clienti, oltre ad avere la tecnologia giusta e le competenze, la rende un partner affidabile e altamente performante.

Industria Chimica Farmaceutica, “LAB&CHEMICAL WEB EDITION” 14 ottobre 2020

tecnico di laboratorio

Cerchiamo di andare il più possibile verso il futuro, sostenendo con coraggio e caparbietà la produttività dell’industria chimica farmaceutica

Nel panorama del mercato italiano, l’industria chimica-farmaceutica (e tutto il relativo indotto) è tra quelle che meno hanno risentito del blocco forzato causato dall’emergenza Covid-19, tenendo forte la presa sui numeri di fatturato e produzione e assicurando così un’efficiente continuità operativa, essendo tra le imprese considerate essenziali. In questo processo di “nuova normalità” l’evoluzione digitale e tecnologica riveste un ruolo di sempre maggiore importanza.

“LAB&CHEMICAL WEB EDITION 2020”, in programma il 14 ottobre 2020, è l’Evento che sarà dedicato proprio all’industria chimica farmaceutica e sarà il punto d’incontro in modalità digitale per ascoltare direttamente dalle AZIENDE le loro esperienze, ma soprattutto le loro novità in tema di applicazioni,  soluzioni, strategie, prodotti, servizi e tecnologie attraverso una presentazione mirata e la condivisione in networking su piattaforma ZOOM, on line, e anche attraverso il canale YouTube dedicato e i profili social, in particolare Linkedin che conta una Community qualificata di circa 3.000 contatti.

Si parlerà perciò di temi attuali e interessanti nell’ambito chimico-farmaceutico, in primo piano: Analisi – Laboratorio di settore – Ricerca – Life Sciences – Medicale – Biotecnologie e Nanotecnologie – Chimica – Farmaceutica – Affari Regolatori – LIMS – Strumentazione e Tecnologie – Spettroscopia e Cromatografia – Bioprocessing Equipment – Biosicurezza e biocontenimento – Arredi e Cappe – Prodotti e Reagenti – e altro ancora.

IL PACCHETTO DI PARTECIPAZIONE per le Aziende che desiderano partecipare all’Evento è composto da:  

** uno speech di presentazione di circa 15 minuti

** share-screen della presentazione

** scambio in diretta di domande e risposte

** pubblicazione on line di un COVER BANNER dell’azienda (misure 450×225 pixel formato Jpg o Pdf) in HOME PAGE sul portale www.progettoindustria.com,  con link diretto al sito web dell’azienda

** pubblicazione di un articolo applicativo o istituzionale o di prodotto sul portale, nello Speciale dedicato all’Evento

** pubblicazione on line di un video sul portale, nello Speciale dedicato all’Evento

** pubblicazione e diffusione del video dell’evento anche sul canale YouTube industriavideochannel

** condivisione dell’intero evento e dei singoli video relativi alle aziende su LinKedin (oltre 3.000 contatti qualificati, in crescita) e sui principali profili social

Per maggiori informazioni e prezzi, contattate pure la mail: promozione@progettoindustria.com.

Riciclo chimico nell’industria delle materie plastiche

riciclo chimico by BASF

Sull’onda della nuova Plastics Strategy varata dalla Commissione europea, dopo anni di quiescenza, si ricomincia a parlare di riciclo chimico

Appare infatti ormai assodato che il riciclo meccanico, da solo, non è sufficiente per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti da Bruxelles all’industria delle materie plastiche.

Riportando i rifiuti plastici al loro stato originario, è possibile riutilizzare in ottica circolare anche i rifiuti eterogenei, multimateriale o contenenti additivi che ne rendono poco conveniente il riciclo per via meccanica. 

Che si tratti di depolimerizzazione, pirolisi o gassificazione, si possono ottenere materie prime rigenerate praticamente da qualsiasi ammasso di rifiuto plastico, e soprattutto senza degradazione delle caratteristiche fisico meccaniche del manufatto finale che – entro certi limiti – può essere anche conforme al contatto con gli alimenti.

BASF e il “ChemCycling”

A credere nel riciclo chimico, tanto da avviare partnership a valle con importanti produttori di imballaggi e componenti auto, è il gruppo tedesco BASF, che ha lanciato il programma ChemCycling.

Si tratta di un processo basato sulla pirolisi di rifiuti plastici eterogenei, difficili da trattare per via meccanica (compresi espansi come l’EPS), trasformati in oli sintetici da aggiungere in steam cracking per ottenere nuove materie prime, come etilene o propilene, alternative a quelle fossili, con cui produrre nuovi polimeri senza scadimento delle proprietà intrinseche.

A questo scopo il gruppo tedesco ha stretto un’alleanza con Quantafuel, titolare di un processo integrato per la pirolisi di rifiuti plastici e la successiva purificazione degli oli ottenuti. Accordo sancito da un investimento di 20 milioni di euro, che BASF ha iniettato nella società norvegese per accelerare lo sviluppo industriale del processo, anche in vista di future attività di licensing. Quantafuel ha in programma di avviare entro la fine di quest’anno, a Skive (Danimarca), un impianto con capacità di 16.000 tonnellate annue.

Attraverso il processo di pirolisi ChemCycling, BASF trasformerà rifiuti plastici eterogenei difficili da trattare per via meccanica in oli sintetici per ottenere nuove materie prime via steam cracking.

Come parte dell’accordo, BASF avrà il diritto di prelazione su tutto l’olio di pirolisi e gli idrocarburi purificati prodotti per un periodo minimo di quattro anni dall’avvio dell’unità.

Le materie prime così ottenute saranno utilizzate nel polo chimico di Ludwigshafen, dove il gruppo ha sede ha sede, per ottenere nuove materie plastiche – contraddistinte dal suffisso Ccycled – destinate ad applicazioni realizzate in collaborazione con selezionati partner industriali.

Per passare dagli impianti pilota all’industrializzazione del processo, oltre agli aspetti tecnologici ed economici, vanno chiarite anche le questioni normative, come sottolinea Klaus Ries, responsabile Styrenic Foams di BASF: «Il riciclo chimico e il bilancio di massa devono essere inseriti nel calcolo degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea e nelle metodologie di calcolo dei tassi di riciclo il prima possibile, in quanto è l’unico modo per incrementare, sensibilmente e in modo permanente, i volumi di riciclo senza sacrificare la qualità».

Riflettori puntati sul polistirene

Anche il gruppo britannico Ineos è impegnato in diversi progetti di riciclo chimico, con particolare attenzione al trattamento di rifiuti stirenici, dove ha attivato partnership sia con altri produttori, sia con università e centri di ricerca.
Nell’ambito del progetto ResolVe, ad esempio, collabora da due anni con Neue Materialien e l’Università di Aachen al riciclo chimico di rifiuti a base di polistirene. I primi risultati hanno confermato che è possibile produrre nuovo polimero con la stessa qualità di quello vergine, partendo da stirene ricavato da depolimerizzazione chimica. Ottenuto questo risultato, i ricercatori si sono messi al lavoro per ottimizzare la resa del processo e mitigare l’effetto dei contaminanti, compresi altri polimeri presenti nei rifiuti di polistirene, in particolar modo il PET (mentre sono tollerate percentuali poliolefine fino al 10%).

Secondo Norbert Niessner, responsabile R&D/Proprietà Intellettuale di Ineos Styrolution, si può tranquillamente affermare che il polistirene può essere riciclato. «Anche grazie ai recenti progressi nelle tecnologie di selezione dei rifiuti post-consumo, sono convinto che non vi è più alcun motivo per non farlo» afferma.

Nell’ambito della piattaforma Styrenics Circular SolutionsTrinseo, Ineos Styrolution e Agilyx hanno recentemente validato la tecnologia per la depolimerizzazione di rifiuti da imballaggio di origine stirenica e ora puntano a realizzare in Europa un impianto su scala industriale con una capacità di trattamento fino a 50 tonnellate al giorno, anche se non sono stati ancora forniti dettagli su località e tempistica del progetto.
Ineos Styrolution supporta anche il progetto Plastics2Chemicals di Indaver, società del gruppo Katoen Natie specializzata nella gestione e trattamento dei rifiuti. L’obiettivo è avviare nel Porto di Anversa un impianto dimostrativo per la depolimerizzazione di rifiuti plastici a base di polistirene e poliolefine (previa separazione), con capacità di 15.000 tonnellate annue, che potrebbe entrare in funzione nella prima metà del 2021. Ineos Styrolution potrebbe utilizzare lo stirene così ottenuto all’interno di un suo impianto poco distante.

Infine, il gruppo sta lavorando con la canadese GreenMantra nella sintesi di stirene monomero ottenuto dalla depolimerizzazione termocatalitica di rifiuti post-consumo e sfridi di polistirene. Da questo processo si ottengono due flussi distinti: il principale è polistirene a basso peso molecolare, che ha possibili impieghi negli additivi per inchiostri e coating, mentre quello secondario è costituito da stirene monomero, dal quale ottenere nuovamente polistirene.

Tacoil da rifiuti plastici

Riciclare in closed-loop rifiuti plastici da imballaggio difficili o impossibili da trattare per via meccanica è anche l’obiettivo del progetto avviato da Sabic, Unilever, Vinventions e Walki Group.

La tecnologia individuata dai partner è la conversione termochimica in assenza di ossigeno (TAC, Thermal Anaerobic Conversion) sviluppata dalla britannica Plastic Energy, dalla quale si ottiene Tacoil, un olio sintetico che Sabic immetterà nell’impianto di Geelen (Olanda) per ottenere materie plastiche che saranno fornite ai tre partner; questi, a loro volta, utilizzeranno le resine per produrre imballaggi destinati ad uso alimentare e non: Vinventions produrrà tappi sintetici per vino e Walki beni di consumo. Nei piani di Sabic e Plastic Energy c’è la costruzione di un impianto in Olanda, che potrebbe entrare in marcia nel 2021.

Il processo TAC parte dal riscaldamento dei rifiuti plastici in assenza di ossigeno (evitando così la loro combustione), che provoca una rottura delle catene polimeriche. Si ottiene così un vapore saturo di idrocarburi che, una volta condensato, può alimentare un cracker al posto di materie prime fossili per la sintesi di intermedi per la produzione di nuove materie plastiche, mentre la frazione gassosa viene impiegata per produrre l’energia necessaria agli impianti. Il processo è già stato testato con successo da Plastic Energy in due impianti in Spagna, prima a Siviglia (2014), quindi ad Almeria (2017) dove stanno operando in ciclo continuo.
Sabic ha introdotto in catalogo anche i primi gradi di compound e leghe a base di PBT (LNP Elcrin iQ) ottenuto da depolimerizzazione di bottiglie e altri rifiuti a base poliestere. Questa nuova serie comprende gradi rinforzati con fibre di vetro e cariche minerali, formulazioni ritardanti di fiamma senza alogeni e resistenti ai raggi UV, oltre a gradi suscettibili di ottenere la conformità al contatto alimentare in base agli standard FDA.

In campo anche Dow ed Eastman

Il gruppo chimico statunitense Dow si prepara a introdurre sul mercato plastiche ottenute in parte da materie prime provenienti da pirolisi di rifiuti plastici e, a questo scopo, ha siglato un accordo con l’olandese Fuenix Ecogy per la fornitura di feedostck destinati al polo di Terneuzen, nei Paesi Bassi.
Fuenix ha brevettato un processo di pirolisi capace di convertire materie plastiche eterogenee da imballaggi in un olio che può sostituire alcune materie prime (nafta, paraffine, LPG). L’azienda olandese sostiene che con una tonnellata di rifiuti si possono ottenere circa 700 chilogrammi di polimero rigenerato con le stesse caratteristiche di quello sintetizzato con materie prime vergini, anche per uso alimentare. Questo progetto rientra nell’impegno preso da Dow di incorporare almeno 100.000 tonnellate di plastiche riciclate nei materiali destinati al mercato europeo entro il 2025.

Eastman si sta invece muovendo nel riciclo chimico, mediante depolimerizzazione via metanolisi, dei rifiuti a base poliestere di scarsa qualità, difficilmente recuperabili per via meccanica e destinati quindi a essere avviati a discarica o all’incenerimento. Il gruppo statunitense è impegnato in uno studio di fattibilità tecnica sulla progettazione e costruzione di un impianto di metanolisi su scala industriale, che potrebbe entrare in funzione entro 24-36 mesi dalla conclusione degli accordi con partner della filiera interessati ad acquistare il materiale così rigenerato.

Capitali freschi per Loop Industries

Che il momento sia quello giusto, è dimostrato anche dalla disponibilità di capitale di rischio per progetti industriali nel riciclo chimico. Recentemente, la società di investimenti canadese Northern Private Capital (NPC) del multimilionario John Risley, ha deciso di investire 35 milioni di dollari per rilevare una quota del 10,5% di Loop Industries, la società che ha sviluppato un processo per il riciclo chimico di rifiuti in PET, trasformati nelle materie prime di partenza. Il nuovo azionista si è anche assicurato un’opzione, valida tre anni, per l’acquisto di ulteriori quote, fino ad arrivare al 17,3% con un esborso totale di 45 milioni di dollari. L’obiettivo è accelerare il passaggio su scala industriale del processo, che vede Loop Industries alleata con la thailandese Indorama Ventures nella costruzione del primo impianto di depolimerizzazione negli Stati Uniti, il cui avvio è previsto nel 2020.
Ancora prima di mettere in marcia le capacità, Loop Industries ha siglato accordi di fornitura pluriennale di rPET da riciclo chimico con colossi quali PepsiCo, L’Oréal Group ed Evian, il marchio di acque minerali del gruppo Danone. Alla fine dell’anno scorso, la società canadese ha anche raggiunto un accordo con Thyssenkrupp al fine di combinare la tecnologia di riciclo chimico di poliestere Loop con quella di policondensazione in continuo MTR (Melt-To-Resin) di Uhde Inventa-Fischer per produrre PET grado bottiglia partendo da rifiuti plastici post-consumo.

Un progetto nei film BOPET

Sul fronte della depolimerizzazione del PET, si segnala anche il processo LuxCR proposto da DuPont Teijin Films. L’obiettivo è trasformare i flakes di PET provenienti da sfridi o da rifiuti nel monomero di partenza – BHET (bis-β-idrossietiltereftalato) –, indistinguibile da quello vergine, da cui ottenere nuovo poliestere destinato all’estrusione di film PET biorientato (BOPET) destinato ad applicazioni di imballaggio, anche alimentare. Questa tecnologia è in grado rimuovere eventuali contaminazioni attraverso una combinazione tra filtrazione del polimero e del monomero ed estrazione mediante vuoto per alcune ore con temperature tra 270 e 300 °C. Il gruppo statunitense sta valutando altre applicazioni nell’ambito di etichette, pannelli solari, carte d’identità.