Due imprese industriali su tre investono nell’ innovazione. Nel triennio 2020-2022 oltre una impresa su due (il 58,6%) ha svolto attività di innovazione
Particolarmente incoraggiante è il dato relativo alle PMI: il 55,8% delle imprese tra 10 e 49 addetti ha intrapreso attività innovative, quota che passa al 74,3% nelle medie imprese (50-249 addetti) e all’84,7% nelle imprese con 250 addetti e oltre.
I dati del rapporto dell’Istat, raccontano uno scenario significativo.
L’Italia si conferma un Paese di innovatori: nel triennio 2020-2022 oltre una impresa su due (il 58,6%) ha svolto attività di innovazione.
Particolarmente incoraggiante è il dato relativo alle PMI: il 55,8% delle imprese tra 10 e 49 addetti ha intrapreso attività innovative, quota che passa al 74,3% nelle medie imprese (50-249 addetti) e all’84,7% nelle imprese con 250 addetti e oltre.
È l’industria il settore con la maggiore propensione all’innovazione (65,1%), seguita dai servizi (56,1%) e dalle costruzioni (46,7%).
I comparti più innovativi sono risultati l’industria farmaceutica, l’elettronica e la fabbricazione di autoveicoli, con oltre l’80% delle imprese che svolgono attività innovative.
Importanti anche i valori registrati nell’industria chimica e nella produzione di macchinari e di articoli in gomma e materie plastiche (dove innovano tre imprese su quattro).
Il 32,8% delle imprese ha introdotto almeno un’innovazione di prodotto nel triennio 2020-2022, mentre il 53% ha investito in processi nuovi o sostanzialmente migliorati: le innovazioni di processo più frequenti sono quelle relative ai processi e metodi di produzione (30,5%), seguite dalle innovazioni nei sistemi informativi (29,8%) e dalle innovazioni nell’organizzazione del lavoro e nella gestione delle risorse umane (29,7%).
Due imprese su 10 hanno, invece, investito nelle pratiche di marketing (22,6%), in nuove pratiche di organizzazione aziendale o nuove modalità nelle relazioni con l’esterno (19,9%) e in innovazioni dei sistemi contabili e amministrativi (19,6%).
Nel 2022 la spesa per le attività innovative è stata pari a 30,6 miliardi di euro, con una media di 5.400 euro per addetto. La voce principale di questa spesa è rappresentata dalla ricerca e sviluppo (R&S), che assorbe il 63% del totale.
Il ricorso alle agevolazioni fiscali riguarda il 29,7% delle imprese con attività innovative.
Le principali beneficiarie sono le grandi imprese: 48,1% contro il 27,1% delle piccole.
A livello settoriale è l’Industria a ricorrere di più alle agevolazioni (38,2% delle imprese con attività innovative contro il 22,5% nei Servizi e il 20,2% nelle Costruzioni).
Le sfide per il futuro: carenza di risorse e sostenibilità ambientale
Tra le principali sfide che le imprese italiane devono affrontare nel loro percorso verso l’innovazione, la carenza di risorse (finanziarie, di personale ecc.) è emersa come un ostacolo significativo per il 25,9% delle imprese.
Un aspetto interessante è il ruolo della sostenibilità ambientale: il 40,1% delle imprese che hanno innovato i prodotti o processi nel triennio 2020-2022 ha dichiarato di aver intrapreso azioni a basso impatto ambientale.
Nel 36,1% delle imprese l’implementazione di innovazioni si è tradotta in effetti ambientali positivi in fase di produzione e nel 28,5% in benefici ottenuti nella fase di consumo e utilizzazione dei beni e servizi.
Gli interventi più frequenti hanno riguardato il minor consumo di energia e la riduzione delle emissioni di CO2, sia nella produzione (20,4%) che nell’utilizzo/consumo dei beni e servizi (18,8%).
Meno frequenti sono state le iniziative volte alla sostituzione di materiali tradizionali con materiali meno inquinanti o pericolosi (15,6%) e alla riduzione dell’inquinamento in fase di produzione (15,2%) e consumo (13,8%).
Frequenze simili si registrano per l’adozione di pratiche volte al riciclaggio dei materiali e dei rifiuti e al riciclo dell’acqua (15,4%) o al riciclo dei prodotti a fine vita (13,1%).
Più limitato è l’impegno nella tutela della biodiversità sia in fase di produzione che da parte degli utilizzatori finali (5% delle imprese che hanno innovato).
L’Istat, Istituto italiano di statistica certifica che le imprese che puntano su innovazione digitale e tecnologie, hanno più capacità di reazione rispetto alle altre, una marcia e un vantaggio competitivo in più
Adesso accelerare su produttività, investimenti, ricerca e innovazione sono le principali direttrici per la ripresa
Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha illustrato alla Camera dei Deputati il Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese: 270 pagine fitte di percentuali e numeri, che descrivono il quadro economico, sociale e produttivo del Paese, e anche il suo livello di evoluzione tecnologica e innovazione digitale.
Il primo dato rilevante è che solo il 4% delle imprese
“digitalmente mature ha dovuto affrontare un ridimensionamento delle attività,
contro quote più che doppie di imprese nelle altre categorie”.
In generale, le imprese con maggiori capacità tecnologiche intendono
accelerare (nel 20% dei casi) – nonostante la crisi – i processi interni di
digitalizzazione, dematerializzazione della documentazione e automazione dei
processi aziendali; puntano a un modello organizzativo 4.0, fortemente
digitalizzato; sono attive nella ricerca di collaborazioni e partnership
esterne, nel segno della crescita.
Due strategie emergono come particolarmente rilevanti per le imprese
nell’immediato futuro: “una ristrutturazione, in termini di riorganizzazione
dei processi e degli spazi di lavoro, o commerciali, spesso conseguenza diretta
dell’emergenza sanitaria”, rimarca la ventinovesima edizione del Rapporto
annuale dell’Istat, insieme a “un ulteriore sforzo di innovazione, indirizzato
alla produzione di nuovi beni, all’offerta di nuovi servizi o l’adozione di
nuovi processi produttivi”. Insomma, ancora una volta è l’innovazione – di
fabbrica, prodotto, processo – il motore da cavalcare e il treno su cui salire per
trovare slancio e lasciarsi alle spalle una situazione di crisi.
Tra i
principali elementi di forza, per
rivolgersi con successo al futuro, ci devono essere “produttività,
investimenti, ricerca”, sottolinea Giampaolo Neto,
direttore centrale dell’Istat, sottolineando che le imprese più dinamiche e
reattive sono quelle che nell’ultimo anno e mezzo, ma anche prima, hanno
puntato su “una rapida evoluzione dei processi di digitalizzazione, automazione
e diffusione delle attività commerciali online”, vale a dire l’e-commerce.
Il ruolo dell’e-commerce
Proprio l’e-commerce è un elemento che ha avuto una spinta straordinaria per effetto dell’emergenza pandemica.In Italia l’e-commerce, prima della pandemia, era adottato dal 9% delle imprese con almeno 3 addetti, ma questa quota sfiorava il 20% nel caso delle grandi. “L’incremento favorito dalla crisi – anche in questo caso, come per la comunicazione aziendale, più orientato a rendere operativi strumenti esistenti che ad acquisirne di nuovi – è stato nel complesso pari al 43%, omogeneo in tutte le classi di attività”, rileva Andrea De Panizza, uno dei curatori del Rapporto Istat 2021.
Che
spiega: “anche considerando le imprese che programmano di attivare siti web di
e-commerce nel corso di quest’anno, si conferma il ruolo della componente
dimensionale: l’intenzione è espressa da quasi il 30% delle grandi imprese con
un sito di e-commerce, contro il 24% delle piccole e medie imprese, e il 16%
delle microimprese”.
La digitalizzazione “componente strategica per la competitività e la sostenibilità”
L’analisi di scenario dell’Istat rimarca: le tecnologie digitali “rappresentano
una componente strategica per la competitività dei Paesi e per l’evoluzione dei
sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità”. E fa notare: “nel 2020 le
professioni ICT incidono per il 4,3% sull’occupazione totale nell’Ue27 e solo
per il 3,6% in Italia. Nelle imprese con più di 10 addetti più della metà del
personale ormai usa quotidianamente computer connessi a Internet, il 56% nell’Ue27
e il 53% in Italia”.
Per portare avanti la propria evoluzione
tecnologica, l’Italia ha destinato a progetti di digitalizzazione il
27% dei 235 miliardi di risorse comprese nel proprio Programma Nazionale di
Ripresa e Resilienza (222 miliardi) e nei fondi React-Eu (13 miliardi).
L’exploit dei servizi cloud in soli 2 anni
In soli 2 anni, tra il 2018 e il 2020, la quota di imprese italiane che utilizzano servizi cloud è passata dal 23 al 60%, e dall’11 al 32% per quanto riguarda i servizi più evoluti, grazie anche agli incentivi fiscali contenuti nel piano Industria 4.0. Le politiche, e gli obblighi normativi, hanno favorito l’uso delle tecnologie digitali anche nell’automazione degli scambi di documenti attraverso l’emissione di fatture elettroniche: per questo aspetto, nel 2019 le imprese italiane risultavano in vetta alla graduatoria europea (95%).
Il sistema produttivo italiano è invece ancora in
ritardo nella diffusione del commercio elettronico e nell’uso di tecniche
di analisi di Big data; queste ultime nel 2019 sono state utilizzate dal 9% delle
imprese italiane e spagnole con almeno 10 addetti, contro il 18% di quelle
tedesche e il 22% di quelle francesi.
Il rimbalzo della manifattura italiana
Tra le imprese manifatturiere con almeno 20 addetti
(che nel 2018 spiegavano più dell’80% del fatturato della manifattura e oltre
il 90% dell’export), una su due ha subito nel 2020 riduzioni di fatturato pari
ad almeno il 10%, mentre una su quattro ha perso almeno il 25%. Solo un quarto
delle imprese è riuscito a tenere variazioni positive o nulle, grazie alla
capacità di tenuta sui mercati esteri.
Nel corso del 2020 il fatturato della manifattura italiana ha
poi anche “evidenziato segnali di ripresa che si sono irrobustiti nel primo
trimestre 2021”, certifica l’Istituto di statistica: “tra gennaio e marzo i
ricavi complessivi sono cresciuti, su base tendenziale, del 12,6%, a seguito di
un deciso aumento della domanda interna (+16%) e di una dinamica più contenuta,
ma comunque rilevante, di quella estera (+7%)”.
L’aumento dei ricavi ha interessato 15 settori manifatturieri su 23, “con variazioni
tendenziali molto eterogenee: alla brillante performance di mobili (+30%),
metallurgia (+29%), apparecchiature elettriche (+27%) e dei mezzi di trasporto
(+25%), si contrappone quella più contenuta, o stagnante, della filiera
tessile-abbigliamento-pelli (rispettivamente +5%, +0,5% e -1,6%), che nel primo
trimestre 2020 aveva subito cadute di fatturato molto forti”. Solo in 9 settori –
che incidono per oltre il 40% sull’indice totale – si è (già) tornati ai
livelli pre-crisi: legno-carta-stampa, chimica, gomma e plastica, prodotti della
lavorazione dei minerali non metalliferi, metallurgia, prodotti in metallo,
apparecchiature elettriche, autoveicoli.
Numeri e Dinamiche dell’Economia
Il Pil italiano, dopo la caduta del 2020 (-8,9%) dovuta essenzialmente al
crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021. Per
l’area euro la Commissione europea prevede che il pieno recupero
dell’economia si distribuisca nel biennio 2021-22, con una
crescita media del Pil pari, rispettivamente, a 4,3% e 4,4% nei due anni.
Per rendere possibili le misure di contrasto
all’emergenza sono stati sospesi i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita e
il deficit pubblico è salito in Italia al 9,5% del Pil (secondo i vincoli
precedenti non doveva superare il 3%).
Nel primo trimestre 2021, l’economia italiana ha
segnato un lievissimo recupero congiunturale (+0,1% il Pil), un risultato
migliore di quello registrato dalle altre grandi economie europee: si
registrano forti miglioramenti nella manifattura, nelle
costruzioni e in alcuni comparti del terziario e anche le prospettive di
brevissimo periodo sono decisamente positive, in base ai risultati
dell’indagine sui climi di fiducia di imprese e consumatori.
Sul
fronte dell’inflazione, nel 2020 la dinamica dei prezzi è
stata compressa dal crollo della domanda e delle quotazioni delle materie
prime: il tasso di inflazione è risultato in media d’anno quasi nullo (-0,1% in
termini di indice armonizzato europeo). Nei primi mesi di quest’anno la
risalita delle quotazioni del petrolio e il generale recupero dell’attività
hanno cominciato ad alimentare alcune spinte sui prezzi, che nel nostro Paese
restano più moderate che nel resto dell’area euro. A giugno l’inflazione al
consumo in Italia è stata pari a 1,3%, 6 decimi di punto in meno rispetto
all’eurozona.
Prospettive di ripresa
La crisi ha investito anche il mercato del lavoro:
il calo dell’occupazione ha riguardato all’inizio principalmente i dipendenti a
termine e gli indipendenti, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato. A maggio
2021 gli occupati risultano in diminuzione di 735 mila unità rispetto a prima
dell’emergenza.
Le difficoltà causate dalla crisi sanitaria hanno pesato anche
sull’attività negoziale dei contratti di lavoro:
nel corso del 2020 sono stati rinnovati solo 8 contratti collettivi nazionali a
fronte dei 49 scaduti (che corrispondono all’80% del monte retributivo totale).
Ne è risultata una crescita delle retribuzioni contrattuali orarie dello 0,6%,
in rallentamento rispetto all’anno precedente.
Crollo e ripresa della produzione industriale
(rispetto al 2015)
La crisi “ha avuto anche un forte impatto sulla normale gestione operativa delle imprese, sulla regolarità dei
flussi di cassa, sulla disponibilità di liquidità e, di conseguenza, sulle
modalità di finanziamento sul mercato del credito”, rileva il rapporto Istat:
“con le misure per sostenere la gestione finanziaria e la liquidità delle
imprese sono cresciuti molto i prestiti bancari garantiti a scapito delle altre
modalità, come autofinanziamento, linee di credito ed emissioni azionarie”.
Ma ora il peggio sembra passato, anche se è ancora presto per tirare
conclusioni definitive. Si vede comunque la luce in fondo al tunnel: le prospettive di brevissimo periodo sono decisamente positive,
in particolare, gli indici del clima di fiducia delle
imprese, già in risalita nei primi mesi dell’anno, hanno registrato
a maggio e ancora di più a giugno un miglioramento molto veloce, salendo a
livelli particolarmente alti, soprattutto per le costruzioni e l’industria. Le
più recenti previsioni Istat stimano per il 2021 una robusta ripresa
dell’attività, dei consumi e degli investimenti, spinti anche dall’avvio
del PNRR: la crescita del Pil dovrebbe essere del 4,7% e proseguire, con un ritmo
di poco inferiore, l’anno prossimo.