ENI VERSALIS: strategia per la sostenibilità

Versalis è la società chimica di Eni, fortemente motivata a giocare un ruolo chiave nella transizione verso lo sviluppo di un modello di sostenibilità in crescita

Versalis basa le sue attività sull’integrazione dei principi di sostenibilità e circolarità nella gestione dei processi industriali e dei prodotti lungo l’intero ciclo di vita.

Le tre direttrici nell’ambito della sua strategia trovano fondamento nell’innovazione e sono:

1) la diversificazione delle materie prime, tra cui le fonti rinnovabili,

2) l’eco-design,

3) lo sviluppo di tecnologie di riciclo dei polimeri.

La Società interagisce con i mercati proponendosi con un portafoglio prodotti orientato ad un mercato in continua evoluzione, facendo leva sulle proprie competenze industriali, sulla ricerca e l’innovazione, sull’estesa gamma di tecnologie proprietarie, su una rete di distribuzione capillare e attività di assistenza post-vendita.

E’presente anche nella regione Asia-Pacifico, con uffici a Shanghai, a Mumbai (India) e a Singapore.

Nella stessa area, con la joint venture LVE, costituita con la sudcoreana Lotte Chemical, mira a promuovere lo sviluppo nel campo degli elastomeri. Ha inoltre uffici commerciali a Houston (Texas) per rafforzare, grazie alla controllata Versalis Americas, la sua presenza sul mercato locale, in particolare nel campo degli elastomeri.

Mentre in Ghana, Congo e nel Medio Oriente è presente con la JV VPM insieme a Mazrui Energy Service che ha un ruolo attivo nel settore Energy, con il portafoglio degli oilfield chemicals.

La chimica da fonti rinnovabili, un punto cardine nella transizione per la sostenibilità

La chimica da fonti rinnovabili è parte importante della strategia di crescita di Versalis, rappresentando la via per un più deciso indirizzo verso tecnologie in linea con i principi della bioeconomia e in sinergia con le produzioni tradizionali.

Versalis è impegnata nella messa a punto di un modello che tiene conto dell’intero ciclo produttivo in termini di uso di risorse rinnovabili, di conseguente riduzione delle emissioni di CO2 e di efficienza energetica.

L’impegno nella chimica da rinnovabili si focalizza in particolare su nuovi processi produttivi che utilizzano materie prime rinnovabili, come per esempio le biomasse solide, per produrre intermedi e polimeri.

Attraverso la Business Unit dedicata Biotech, Versalis sta sviluppando filiere e piattaforme tecnologiche che coprono vari ambiti (agronomico, biochimico e chimico) ed ambisce a valorizzare l’integrazione con il territorio che fornisce le biomasse, offrendo allo stesso opportunità di crescita.

Versalis svolge attività di ricerca sull’intera filiera della chimica da fonti rinnovabili nei centri di Novara in scala laboratorio, e a Rivalta Scrivia (Alessandria), per attività fino alla scala pilota della tecnologia di saccarificazione da biomasse ligno-cellulosiche a zuccheri di seconda generazione (non edibili) e successiva fermentazione a bioetanolo.

A Porto Torres, la ricerca è affidata al centro ricerche di Matrìca, joint venture con Novamont per la chimica da fonti rinnovabili, a supporto delle produzioni specifiche del sito e di vari altri progetti.

Un progetto: dalla chimica da fonti rinnovabili una gamma di disinfettanti Invix

A Crescentino (Vercelli), Versalis è impegnata nel riavvio della produzione di bioetanolo.  

In piena emergenza sanitaria da covid-19, Versalis ha messo a disposizione le proprie competenze e gli impianti di Crescentino per produrre una gamma di disinfettanti, denominata Invix, utilizzando come principio attivo l’etanolo da materie prime vegetali.


Il disinfettante, sviluppato su formulazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e autorizzato dal Ministero della Salute italiano, è un presidio medico chirurgico.
I centri di ricerca Versalis Biotech a Rivalta Scrivia (Alessandria) e a Novara stanno lavorando per perseguire ulteriori sviluppi nella produzione di una gamma completa di prodotti rinnovabili per via fermentativa quali bio-oli per la bioraffineria, polimeri totalmente biodegradabili (poliidrossialcanoati PHA), intermedi per bio-polimeri e bio-chemicals, tutti da zuccheri di seconda generazione. 

ENI Versalis: prodotti certificati e sostenibili

Versalis, società chimica di ENI, ha ottenuto la certificazione ISCC Plus per monomeri, intermedi, polimeri ed elastomeri, prodotti certificati con materie prime sostenibili, da bionafta e da riciclo chimico

Un passo importante verso l’obiettivo di offrire al mercato prodotti decarbonizzati e circolari con una nuova gamma “bio attributed” e “bio-circular attributed” realizzata con bionafta, e “circular attributed”, nel caso in cui la materia prima sia un recycled oil”, olio da pirolisi ottenuto dal processo di riciclo chimico dei rifiuti di plastica mista.

La disponibilità di bionafta deriva dall’integrazione con Eni, che ha trasformato due raffinerie in bioraffinerie, a Venezia Porto Marghera e a Gela, garantendo l’approvvigionamento di materia prima sostenibile. prodotti sostenibili, che trae origine da oli vegetali, oli alimentari esausti o altre tipologie di scarti organici.

ISCC Plus è parte dello schema di certificazione ISCC (International Sustainability & Carbon Certification, approvato dall’Unione Europea), ha natura volontaria e permette alle aziende dell’intera filiera di monitorare e poter dimostrare la sostenibilità dei propri prodotti attraverso il controllo di requisiti di sostenibilità, di tracciabilità e del bilancio di massa.

I prodotti Versalis certificati comprendono i monomeri e gli intermedi etilene, propilene, benzene, stirene, butadiene, i polimeri polietilene (LDPE, HDPE, LLDPE), stirenici (PS, EPS e ABS), ed elastomeri (SBR, BR, EPDM), che non differiscono nella loro composizione chimica e nelle prestazioni fisico-meccaniche rispetto a quelli realizzati con materia prima di origine fossile.

L’attività di certificazione ISCC Plus, avviata da Versalis nel 2020, verrà estesa, nel corso dell’anno, anche ad altri siti produttivi italiani ed esteri e attesta, inoltre, la concretezza della strategia di economia circolare mirata anche a utilizzare materie prime sostenibili.

NextChem e LanzaTech, il riciclo chimico per produrre etanolo

nextxchem

NextChem e la società americana LanzaTech, specializzata nel recupero del carbonio, hanno siglato un accordo per la licenza della linea di processo “Waste to Ethanol” grazie al riciclo chimico

NextChem implementa così il proprio portafoglio tecnologico nell’area della circular economy e in particolare del riciclo chimico, aggiungendo alle piattaforme tecnologiche per la produzione di idrogeno circolare e metanolo circolare da rifiuti plastici e secchi, (attualmente in fase di progettazione ingegneristica), anche la produzione di etanolo circolare.

Il processo base del riciclo chimico è quello della conversione chimica dell’idrogeno e del carbonio contenuti in plasmix e CSS, conversione da cui si ottiene un gas circolare che può essere utilizzato come base per produrre diversi prodotti chimici. Con la tecnologia biologica LanzaTech di “syngas fermentation”, l’etanolo è prodotto dai batteri trasformando il gas circolare a bassa temperatura e bassa pressione, migliorando l’intera sostenibilità del processo.

Questo è un esempio di bioeconomia in azione, al servizio dell’economia circolare e della decarbonizzazione. NextChem licenzierà in esclusiva questa tecnologia per l’Italia e con accordi mirati per i mercati esteri.

L’etanolo circolare derivante da questo processo può essere miscelato con le benzine, sostituendo componenti fossili, con un carbon footprint inferiore.

Quando prodotto da rifiuti secchi contenenti frazioni non fossili (per esempio il legno), il 40% dell’etanolo circolare può essere considerato come ‘advanced’ secondo la Direttiva Europea sulle Energie Rinnovabili.

L’etanolo, che in Italia viene totalmente importato, è anche un intermedio importante per una serie di componenti chimici, quali l’etil-acetato – un solvente pregiato per le vernici auto di cui l’Europa è forte importatore – e l’alcol utilizzato come disinfettante. Essendo derivanti dal riciclo, questi prodotti chimici promuovono modelli circolari di consumo.

Quella di NextChem è un’integrazione tecnologica innovativa tra le più rilevanti degli ultimi anni nel settore dei rifiuti e più in generale nel campo dell’economia circolare, in quanto consente di produrre prodotti come l’idrogeno, il metanolo, l’etanolo, che sono “building block” della chimica, partendo non da fonti fossili ma da frazioni di rifiuti che attualmente non sono riciclabili, consentendo dunque un doppio vantaggio ambientale, sia in termini di abbattimento di emissioni climalteranti, sia in termini di aumento della quota di riciclo.

Stiamo ampliando il nostro portafoglio tecnologico in ottica strategica: il nostro modello di distretto circolare e la nostra piattaforma tecnologica waste to chemicals sono la risposta sia ad un problema di dipendenza dall’estero per molti prodotti base dell’industria chimica, sia al problema del recupero di frazioni di rifiuti ad oggi non riciclabili, sia al problema della decarbonizzazione, dichiara Pierroberto Folgiero, Ceo di NextChem e di Maire Tecnimont.

NextChem – aggiunge – ha l’obiettivo di fornire al mercato le soluzioni tecnologiche per sostituire completamente la chimica tradizionale a base fossile con la biochimica e la chimica dei rifiuti. Vogliamo ricostruire la chimica del carbone, senza il carbone: un obiettivo ambiziosissimo, ad oggi concretamente possibile”.

Dobbiamo accelerare la transizione verso una bioeconomia circolare inclusiva e in armonia con la natura”, commenta Jennifer Holmgren, Ceo di LanzaTech.

Dobbiamo capire che lo spreco è una scelta. Tutto può e deve essere riutilizzato, così come accade in natura. L’Economia Circolare è fatta per durare e il modello di distretto circolare di NextChem è un grande esempio di come possiamo costruire un sistema economico resiliente recuperando e riutilizzando quanto più carbonio possibile”, conclude.

Riciclo chimico nell’industria delle materie plastiche

riciclo chimico by BASF

Sull’onda della nuova Plastics Strategy varata dalla Commissione europea, dopo anni di quiescenza, si ricomincia a parlare di riciclo chimico

Appare infatti ormai assodato che il riciclo meccanico, da solo, non è sufficiente per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti da Bruxelles all’industria delle materie plastiche.

Riportando i rifiuti plastici al loro stato originario, è possibile riutilizzare in ottica circolare anche i rifiuti eterogenei, multimateriale o contenenti additivi che ne rendono poco conveniente il riciclo per via meccanica. 

Che si tratti di depolimerizzazione, pirolisi o gassificazione, si possono ottenere materie prime rigenerate praticamente da qualsiasi ammasso di rifiuto plastico, e soprattutto senza degradazione delle caratteristiche fisico meccaniche del manufatto finale che – entro certi limiti – può essere anche conforme al contatto con gli alimenti.

BASF e il “ChemCycling”

A credere nel riciclo chimico, tanto da avviare partnership a valle con importanti produttori di imballaggi e componenti auto, è il gruppo tedesco BASF, che ha lanciato il programma ChemCycling.

Si tratta di un processo basato sulla pirolisi di rifiuti plastici eterogenei, difficili da trattare per via meccanica (compresi espansi come l’EPS), trasformati in oli sintetici da aggiungere in steam cracking per ottenere nuove materie prime, come etilene o propilene, alternative a quelle fossili, con cui produrre nuovi polimeri senza scadimento delle proprietà intrinseche.

A questo scopo il gruppo tedesco ha stretto un’alleanza con Quantafuel, titolare di un processo integrato per la pirolisi di rifiuti plastici e la successiva purificazione degli oli ottenuti. Accordo sancito da un investimento di 20 milioni di euro, che BASF ha iniettato nella società norvegese per accelerare lo sviluppo industriale del processo, anche in vista di future attività di licensing. Quantafuel ha in programma di avviare entro la fine di quest’anno, a Skive (Danimarca), un impianto con capacità di 16.000 tonnellate annue.

Attraverso il processo di pirolisi ChemCycling, BASF trasformerà rifiuti plastici eterogenei difficili da trattare per via meccanica in oli sintetici per ottenere nuove materie prime via steam cracking.

Come parte dell’accordo, BASF avrà il diritto di prelazione su tutto l’olio di pirolisi e gli idrocarburi purificati prodotti per un periodo minimo di quattro anni dall’avvio dell’unità.

Le materie prime così ottenute saranno utilizzate nel polo chimico di Ludwigshafen, dove il gruppo ha sede ha sede, per ottenere nuove materie plastiche – contraddistinte dal suffisso Ccycled – destinate ad applicazioni realizzate in collaborazione con selezionati partner industriali.

Per passare dagli impianti pilota all’industrializzazione del processo, oltre agli aspetti tecnologici ed economici, vanno chiarite anche le questioni normative, come sottolinea Klaus Ries, responsabile Styrenic Foams di BASF: «Il riciclo chimico e il bilancio di massa devono essere inseriti nel calcolo degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea e nelle metodologie di calcolo dei tassi di riciclo il prima possibile, in quanto è l’unico modo per incrementare, sensibilmente e in modo permanente, i volumi di riciclo senza sacrificare la qualità».

Riflettori puntati sul polistirene

Anche il gruppo britannico Ineos è impegnato in diversi progetti di riciclo chimico, con particolare attenzione al trattamento di rifiuti stirenici, dove ha attivato partnership sia con altri produttori, sia con università e centri di ricerca.
Nell’ambito del progetto ResolVe, ad esempio, collabora da due anni con Neue Materialien e l’Università di Aachen al riciclo chimico di rifiuti a base di polistirene. I primi risultati hanno confermato che è possibile produrre nuovo polimero con la stessa qualità di quello vergine, partendo da stirene ricavato da depolimerizzazione chimica. Ottenuto questo risultato, i ricercatori si sono messi al lavoro per ottimizzare la resa del processo e mitigare l’effetto dei contaminanti, compresi altri polimeri presenti nei rifiuti di polistirene, in particolar modo il PET (mentre sono tollerate percentuali poliolefine fino al 10%).

Secondo Norbert Niessner, responsabile R&D/Proprietà Intellettuale di Ineos Styrolution, si può tranquillamente affermare che il polistirene può essere riciclato. «Anche grazie ai recenti progressi nelle tecnologie di selezione dei rifiuti post-consumo, sono convinto che non vi è più alcun motivo per non farlo» afferma.

Nell’ambito della piattaforma Styrenics Circular SolutionsTrinseo, Ineos Styrolution e Agilyx hanno recentemente validato la tecnologia per la depolimerizzazione di rifiuti da imballaggio di origine stirenica e ora puntano a realizzare in Europa un impianto su scala industriale con una capacità di trattamento fino a 50 tonnellate al giorno, anche se non sono stati ancora forniti dettagli su località e tempistica del progetto.
Ineos Styrolution supporta anche il progetto Plastics2Chemicals di Indaver, società del gruppo Katoen Natie specializzata nella gestione e trattamento dei rifiuti. L’obiettivo è avviare nel Porto di Anversa un impianto dimostrativo per la depolimerizzazione di rifiuti plastici a base di polistirene e poliolefine (previa separazione), con capacità di 15.000 tonnellate annue, che potrebbe entrare in funzione nella prima metà del 2021. Ineos Styrolution potrebbe utilizzare lo stirene così ottenuto all’interno di un suo impianto poco distante.

Infine, il gruppo sta lavorando con la canadese GreenMantra nella sintesi di stirene monomero ottenuto dalla depolimerizzazione termocatalitica di rifiuti post-consumo e sfridi di polistirene. Da questo processo si ottengono due flussi distinti: il principale è polistirene a basso peso molecolare, che ha possibili impieghi negli additivi per inchiostri e coating, mentre quello secondario è costituito da stirene monomero, dal quale ottenere nuovamente polistirene.

Tacoil da rifiuti plastici

Riciclare in closed-loop rifiuti plastici da imballaggio difficili o impossibili da trattare per via meccanica è anche l’obiettivo del progetto avviato da Sabic, Unilever, Vinventions e Walki Group.

La tecnologia individuata dai partner è la conversione termochimica in assenza di ossigeno (TAC, Thermal Anaerobic Conversion) sviluppata dalla britannica Plastic Energy, dalla quale si ottiene Tacoil, un olio sintetico che Sabic immetterà nell’impianto di Geelen (Olanda) per ottenere materie plastiche che saranno fornite ai tre partner; questi, a loro volta, utilizzeranno le resine per produrre imballaggi destinati ad uso alimentare e non: Vinventions produrrà tappi sintetici per vino e Walki beni di consumo. Nei piani di Sabic e Plastic Energy c’è la costruzione di un impianto in Olanda, che potrebbe entrare in marcia nel 2021.

Il processo TAC parte dal riscaldamento dei rifiuti plastici in assenza di ossigeno (evitando così la loro combustione), che provoca una rottura delle catene polimeriche. Si ottiene così un vapore saturo di idrocarburi che, una volta condensato, può alimentare un cracker al posto di materie prime fossili per la sintesi di intermedi per la produzione di nuove materie plastiche, mentre la frazione gassosa viene impiegata per produrre l’energia necessaria agli impianti. Il processo è già stato testato con successo da Plastic Energy in due impianti in Spagna, prima a Siviglia (2014), quindi ad Almeria (2017) dove stanno operando in ciclo continuo.
Sabic ha introdotto in catalogo anche i primi gradi di compound e leghe a base di PBT (LNP Elcrin iQ) ottenuto da depolimerizzazione di bottiglie e altri rifiuti a base poliestere. Questa nuova serie comprende gradi rinforzati con fibre di vetro e cariche minerali, formulazioni ritardanti di fiamma senza alogeni e resistenti ai raggi UV, oltre a gradi suscettibili di ottenere la conformità al contatto alimentare in base agli standard FDA.

In campo anche Dow ed Eastman

Il gruppo chimico statunitense Dow si prepara a introdurre sul mercato plastiche ottenute in parte da materie prime provenienti da pirolisi di rifiuti plastici e, a questo scopo, ha siglato un accordo con l’olandese Fuenix Ecogy per la fornitura di feedostck destinati al polo di Terneuzen, nei Paesi Bassi.
Fuenix ha brevettato un processo di pirolisi capace di convertire materie plastiche eterogenee da imballaggi in un olio che può sostituire alcune materie prime (nafta, paraffine, LPG). L’azienda olandese sostiene che con una tonnellata di rifiuti si possono ottenere circa 700 chilogrammi di polimero rigenerato con le stesse caratteristiche di quello sintetizzato con materie prime vergini, anche per uso alimentare. Questo progetto rientra nell’impegno preso da Dow di incorporare almeno 100.000 tonnellate di plastiche riciclate nei materiali destinati al mercato europeo entro il 2025.

Eastman si sta invece muovendo nel riciclo chimico, mediante depolimerizzazione via metanolisi, dei rifiuti a base poliestere di scarsa qualità, difficilmente recuperabili per via meccanica e destinati quindi a essere avviati a discarica o all’incenerimento. Il gruppo statunitense è impegnato in uno studio di fattibilità tecnica sulla progettazione e costruzione di un impianto di metanolisi su scala industriale, che potrebbe entrare in funzione entro 24-36 mesi dalla conclusione degli accordi con partner della filiera interessati ad acquistare il materiale così rigenerato.

Capitali freschi per Loop Industries

Che il momento sia quello giusto, è dimostrato anche dalla disponibilità di capitale di rischio per progetti industriali nel riciclo chimico. Recentemente, la società di investimenti canadese Northern Private Capital (NPC) del multimilionario John Risley, ha deciso di investire 35 milioni di dollari per rilevare una quota del 10,5% di Loop Industries, la società che ha sviluppato un processo per il riciclo chimico di rifiuti in PET, trasformati nelle materie prime di partenza. Il nuovo azionista si è anche assicurato un’opzione, valida tre anni, per l’acquisto di ulteriori quote, fino ad arrivare al 17,3% con un esborso totale di 45 milioni di dollari. L’obiettivo è accelerare il passaggio su scala industriale del processo, che vede Loop Industries alleata con la thailandese Indorama Ventures nella costruzione del primo impianto di depolimerizzazione negli Stati Uniti, il cui avvio è previsto nel 2020.
Ancora prima di mettere in marcia le capacità, Loop Industries ha siglato accordi di fornitura pluriennale di rPET da riciclo chimico con colossi quali PepsiCo, L’Oréal Group ed Evian, il marchio di acque minerali del gruppo Danone. Alla fine dell’anno scorso, la società canadese ha anche raggiunto un accordo con Thyssenkrupp al fine di combinare la tecnologia di riciclo chimico di poliestere Loop con quella di policondensazione in continuo MTR (Melt-To-Resin) di Uhde Inventa-Fischer per produrre PET grado bottiglia partendo da rifiuti plastici post-consumo.

Un progetto nei film BOPET

Sul fronte della depolimerizzazione del PET, si segnala anche il processo LuxCR proposto da DuPont Teijin Films. L’obiettivo è trasformare i flakes di PET provenienti da sfridi o da rifiuti nel monomero di partenza – BHET (bis-β-idrossietiltereftalato) –, indistinguibile da quello vergine, da cui ottenere nuovo poliestere destinato all’estrusione di film PET biorientato (BOPET) destinato ad applicazioni di imballaggio, anche alimentare. Questa tecnologia è in grado rimuovere eventuali contaminazioni attraverso una combinazione tra filtrazione del polimero e del monomero ed estrazione mediante vuoto per alcune ore con temperature tra 270 e 300 °C. Il gruppo statunitense sta valutando altre applicazioni nell’ambito di etichette, pannelli solari, carte d’identità.